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Visualizzazione di contenuti con la più alta reputazione 08/10/2018 in tutte le aree
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2 puntiHo visto BlacKkKlansman di Spike Lee, film che parla di un poliziotto di colore che negli anni '70 si infiltra nel Ku Klux Klan con l'aiuto di un collega ebreo. Buon film, diretto bene e che si muove sapientemente, da tradizione autoriale, tra i generi...regalando momenti divertenti, momenti riflessivi, momenti di suspance e anche momenti drammatici. Non mi ha, comunque, entusiasmato più di tanto perché si muove all'interno di schemi e intenti un po' troppo classici e statici, con l'intento didascalico molto evidente e lineare...e con diversi personaggi realizzati in maniera eccessivamente macchiettistica, cosa sbagliata sia dal punto di vista cinematografico che ideologico. Ma comunque un buon film. Adam Driver è uno degli attori del momento, soprattutto del cinema autoriale...in questo periodo è al cinema con i film di Terry Gilliam e Spike Lee ma di recente ha lavorato anche con Scorsese, Jarmusch, Soderbergh, prima ancora con i Coen e tra i suoi prossimi lavori c'è anche il nuovo film di Leos Carax. E' un attore che mi piace molto e che sta crescendo sempre di più, risultando adatto a molti ruoli diversi in cui lascia comunque la sua impronta precisa. Così come per L'uomo che uccise Don Quijote con Gilliam, ho anticipato la visione di BlacKkKlansman con un altro film di Spike Lee, "La 25° ora". Anche in questo caso non mi dilungo ma è un film per me bellissimo. Michelangelo - Infinito. Su Sky sono presenti tutti i documentari d'arte da loro prodotti, sugli Uffizi, Raffaello, Musei Vaticani ecc., in occasione dell'uscita al cinema di "Michelangelo - Infinito". Me ne sono davvero innamorato. Chiaramente sono molto enfatizzati, ma mi hanno appassionato molto...soprattutto quello su Raffaello che ho trovato bellissimo. "Michelangelo - Infinito" continua su questa scia ed ho apprezzato molto anche questo, anche se però la parte di narrazione fantastica in questo caso l'ho trovata eccessiva e fuori misura. Opera senza autore, di Donnersmarck. Film che mostra uno spaccato di vita di un bambino che poi diventa un pittore, partendo dalla Germania del 1937 arrivando a quella del 1961, mi sembra di ricordare...includendo quindi, ovviamente, il periodo nazista e il dopo guerra, affrontando anche (o forse soprattutto) il tema dell'arte e la diversa visione che si poteva avere su di essa. E' un film che mette tantissimi argomenti sul fuoco e li dosa, per me, male. Tanti temi sono accennati per poi essere abbandonati in modo brusco oppure accantonati. La stessa storia d'amore centrale è altalenante, l'episodio che si vede ad inizio del film sembra centrale ma poi cade nel dimenticatoio e così via. In generale si fa fatica ad individuare la "strada" di questo film. Ha una sintassi più televisiva e sarebbe stato adatto probabilmente più per una serie tv...ma è un problema soprattutto di sceneggiatura; mi viene in mente "Duello a Berlino", di cui parlai qualche settimana fa che è un altro film che tratta un lungo tratto di tempo e lo ricorda pure per alcuni tratti della storia d'amore, eppure è basato su una sceneggiatura spettacolare che gestisce il tutto in maniera perfetta. Cosa che non si può dire di questo film, ne esce un intreccio ingarbugliato e anche sbagliato, dallo sviluppo molto trattenuto, con anche un montaggio non proprio impeccabile, con diverse scene inserite in modo posticcio e quasi casuale. L'elemento più interessante è probabilmente la parte finale, incentrata sul lavoro artistico. Non è comunque un pessino film, si può guardare e, nonostante la durata di 3 ore e 10 minuti, non appesantisce la visione. In questi giorni ho virato un po' anche sull'animazione. Dopo una parentesi nostalgica con Pinocchio, ho visto Gatta Cenerentola di Alessandro Rak. Non riuscii a vederlo quando uscì lo scorso anno al cinema e l'ho recuperato su Sky. E' la rivisitazione dell'omonima fiaba, ambientato a Napoli in un futuro vicino. Non è male, trovo che sia un'opera coraggiosa e con alcuni punti davvero interessanti. Ha un tono molto dark, quasi noir, con quella serie di ologrammi che rimanda a Blade Runner o probabilmente alla tradizione giapponese. Inizialmente non mi è piaciuto molto il disegno dei personaggi, ma ho apprezzato molto sin da subito la realizzazione e l'animazione degli ambienti e delle scenografie. Non, di certo, impeccabile ma interessante...una luce diversa nel panorama cinematografico italiano. Il cinema d'animazione italiano è molto poco conosciuto o anche del tutto ignorato, ma è presente, seppur in piccolo e rappresentato dai pionieri Pagot e Domeneghini negli anni '40, da Enzo D'Alò soprattutto negli anni '90 e da Alessandro Rak negli anni recenti. Ma il bello del cinema è che non si finisce mai di scoprire nuove storie e nuovi personaggi e mi sono imbattuto in Bruno Bozzetto che va ad inserirsi in questo tema e che si prende anche la vetta. E' famoso per la serie animata del Signor Rossi (di cui ho un vaghissimo ricordo da piccolo, ma non saprei dire), ma in generale è autore di molti cortometraggi e anche di lungometraggi. Alcuni suoi lavori sono andati a Cannes, ha vinto l'Orso d'Oro a Berlino per i cortometraggi, è stato candidato all'Oscar e ha partecipato ad un progetto Hanna-Barbera. Il suo lavoro ha colpito anche gli animatori americani, la figlia di Walt Disney l'ha definito "una leggenda, come mio padre" e ha influenzato anche l'animatore John Lasseter, direttore della Pixar e poi anche della Walt Disney. Di recente è stato pure invitato negli studi Pixar e Disney in America per tenere degli incontri con gli animatori e mostrare alcuni suoi lavori. Ho visto alcuni dei suoi cortometraggi, quelli premiati, e ho visto West and Soda del 1965, che è stato il suo primo lungometraggio...a distanza di 16 anni dai primi 2 lungometraggi d'animazione italiani. Film parodia western che non ha una grande animazione ma che ha moltissime trovate ironiche, dinamiche e rocambolesche; il western rivisto in chiave ironica e parodistica. Va ad inserirsi nel periodo degli spaghetti-western ma la lavorazione è iniziata nel 1962, prima quindi dell'uscita di "Per un pugno di dollari" o degli altri film di quel filone...quasi un precursore. I film non si sono incrociati o influenzati perché la loro lavorazione si sviluppò in contemporanea, ma è curioso vedere come alcuni elementi siano anche simili...persino dettagli come la risata di un personaggio o un'inquadratura. E' un tipo d'animazione tipico soprattutto di cortometraggi e scenette animate, perché loro facevano quello, anche nel Carosello, ad esempio...non erano ovviamente disegnatori d'animazione sullo stile Disney o simile. Perciò per loro questo film è stato una grande sfida e hanno dovuto imparare strada facendo, anche "semplici" elementi come i dialoghi, o come i campi/controcampi a cui non erano abituati. E' un'opera notevole che vista oggi è meno "travolgente" ma perché molti elementi sono collegati ed ampliati in film o filoni successivi...i successivi spaghetti-western, o addirittura il genere "demenziale" anni '70-'80, Mezzogiorno e mezzo di fuoco, arrivando persino a "Mucche alla riscossa". Sto aspettando che mi arrivi quello che è considerato l'altro suo capolavoro e ancor maggiore, "Allegro non troppo" del 1976, dichiaratamente ispirato a "Fantasia" della Disney.
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1 puntoReality, M. Garrone, 2012. Non faccio la sinossi perché molti l'hanno già visto e non c'è nulla di eclatante da raccontare. Il film gioca la carta del narcisismo della nostra società e di come certi sogni o desideri possano portare alla malattia mentale. Il film si guarda bene, l'attore protagonista dà un'ottima prova. Per il resto nulla di eclatante. Per me è un film più riuscito a livello di scrittura che a livello cinematografico, per dire poteva essere un buon romanzo. Mi spiace soltanto che Garrone, come anche in Dogman, assieme a molti colleghi utilizzi la cgi anche dove non c'è un particolare bisogno, dando anzi un'aria un po' più grossolana alla pellicola. Poi Fassbinder capitolo 2. Angst essen Seele auf (La paura mangia l'anima), R.W. Fassbinder, 1974. Il film parla dell'incontro di due solitudine, di due emarginati nella società tedesca degli anni '70. Ma che potrebbero esserlo anche oggi, e in altri posti. Si tratta di una donna ormai coi capelli bianchi e figli già cresciuti, e di un immigrato marocchino di mezza età. I due si incontrano fatalmente in un bar, ognuno capisce il disagio altrui e cerca di lenirlo. Da questa amicizia nascerà qualcosa di più profondo. Anche se, come sempre ci racconta Fassbinder, i rapporti umani sono fragili e volubili. Il film prosegue il discorso iniziato da Fassbinder in Katzelmacher, molte dinamiche di discrimazione sono identiche nei due film. Ma a parte la capacità di esporre il tema cinematograficamente il film non l'ho trovato particolarmente significativo. Certo è un capitolo importante del nuovo cinema tedesco, ma in alcune parti confesso di essermi annoiato. Film girato, come consuetudine per il regista, in poco tempo e senza troppe spese. Warnung vor einer heiligen Nutte (Attenzione alla * santa), R.W. Fassbinder, 1971. In un albergo vicino al mare è radunata troupe e attori in attesa dell'arrivo del regista per iniziare le riprese del film. C'è poco da fare, e l'attenzione sembra riposta soltanto al flirtare o amoreggiare vicendevolmente senza troppo badare tra maschi e femmine. D'altronde siamo in un film di Fassbinder. E quasi tutta la prima parte del film è ambientata nella hall dell'albergo, dotata di un frequentatissimo bar, senza che accada nulla se non l'arrivo dell'iracondo e capriccioso regista. Ed è straordinaria la capacità di raccontare questa noia, questa attesa, ma non attesa in qualcosa ma un'attesa del tipo quando suona la campanella all'ultima ora. E per farlo Fassbinder allestisce scene lunghissime con altrettanto ampi piani sequenza. Mentre la seconda parte, quando finalmente iniziano le riprese nonostante le innumerevoli problematiche, il ritmo si rovescia: le scene sono brevi, gli intervalli di tempo sconnessi e profondi, mentre prima praticamente vivevamo il tempo nella hall quasi minuto per minuto. Le scene sono come detto frenetiche, il regista è sempre più annoiato dalla sua opera ed adirato nei confronti dei collaboratori. Per realizzare questo pregevolissimo film, oltre al talento di Fassbinder, bisogna sottolineare quello di Ballhaus alla cinematografia. Ballhaus, che anni dopo sarà tra i più fidati collaboratori di Scorsese, qui mostra ampiamente le sue doti e peculiarità. Per la prima parte del film, quella lenta, muove la cinepresa sinuosamente, ci fa accarezzare muri e tendaggi che inquadra per come indugia e muove docilmente la camera in lunghissimi girotondi su stessa. Girotondi che abbracciano l'intero ambiente facendoci prendere parte a quegli spazi; e quei movimenti continui e fluidi sono facilmente rintraccibali anni dopo nei film del regista newyorchese. Un film strabiliante per scrittura e per capacità di gestire cinepresa e montaggio. Die Sehnsucht der Veronika Voss (Veronika Voss), R.W. Fassbinder, 1972. Spoiler. La Germania negli anni '50, lui è un giornalista sportivo con ormai poco da chiedere alla carriera e in generale. Lei invece è Veronika Voss, una stella del cinema pre-bellico. I due si incontrano durante un temporale, lei inviterà a cena lui che l'ha aiutata senza riconoscerla. Alla cena lei sembra piuttosto disponibile, ma ad un tratto cambia idea e diviene scontrosa. Dev'essere una caratteristica dettata dal nome. A parte le sciocchezze, si scopre che la grande stella del cinema ormai non fa più film, è malata, e per lenire il suo dolore vive nello studio della sua psichiatra che la tiene al guinzaglio con la morfina. Il film è meraviglioso, e allo stesso tempo molto coraggioso. Tratta della malattia mentale, della dipendenza da farmaci, dei metodi nazisti con un tono decisamente raro per quell'epoca. Ma è meraviglioso per come è girato: oltre all'attenzione sul dettaglio e il primo piano, che in Fassbinder non è comune, la prima caratteristica è nel bianconero. Un bianconero che, spesso rievocato nei dialoghi come chiaroscuro, riflette l'alternarsi netto e improvviso dell'umore di Veronika. Un bianconero che vuole essere omaggio non tanto agli anni '50 ma al cinema delle vedette, di cui Veronika è il residuo malato. Ed allora, oltre alla narrazione lineare, il film è frammentato da scene che non sappiamo distinguere se sogno o ricordo dei bei tempi per Veronika, e lì Fassbinder illumina la scena facendo splendere le candele e le fonti di luce come in un musical della fabbrica dei sogni. Hollywood viene chiamata così nel film, ma nel film la fabbrica dei sogni, o meglio placebi o addirittura incubi, è lo studio della psichiatra che con la sua morfina tiene sospese le vite, altrimenti invivibili, dei suoi clienti. La regia del film è frizzante, con un ritmo da commedia e un plot da noir. Spesso Fassbinder utilizza dissolvenze fantasiose, proprio per giocare ancor di più con quel cinema classico rievocato nel film. E, devo dire, che se non conoscessi nulla di questo film, e mi dicessero: abbiamo trovato questa pellicola, non sappiamo di chi sia etc., mi potresti dire l'autore? Io risponderei Truffaut. Certo, poi capisci dove sta la firma di Fassbinder, ma per la freschezza e la cinefilia con cui è girato viene da pensare all'autore parigino. Il finale, già di per sé doloroso e bellissimo, se guardato pensando alla fine del regista dieci anni dopo diviene profetico e ancor più doloroso.
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1 puntoJuventus-Young Boys, settore 108 (Nord - Primo anello), fila 9 posto 37. Visuale perfetta.
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