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Rhyme

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  1. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Sì, infatti. Sembra che voglia inserire una finestra di tempo tra l'uscita di un film in sala e l'uscita di tale film in streaming...in sostanza, quello che è accaduto con "Sulla mia pelle", che è uscito praticamente in contemporanea al cinema e su Netflix, non sarebbe permesso. E infatti è in contrapposizione con quello che dicevamo ma pure con l'idea che c'è a monte di questa proposta, se è realmente così. Sì, era La parola ai giurati...ne avevo parlato. Film splendido.
  2. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Ho letto poco anche io e di certo non ho le competenze per giudicare nel dettaglio. Ma a me, più che presa di posizione troppo forte, sembra proprio una mossa controproducente. Nel senso "Devo aspettare mesi prima che un film uscito in sala possa essere messo sulla mia piattaforma? Allora lo faccio uscire direttamente online, senza il passaggio in sala"...e allora non solo il decreto sarebbe inutile, ma sarebbe proprio dannoso. Perché comunque alcuni giornali hanno messo titoli sbagliati o con fraintendimenti tipo "Bonisoli obbliga i film ad uscire prima in sala e poi su Netflix" ma non è così. Comunque non so se lo hanno veramente firmato o se veramente lo firmeranno, non so se ci sono altri accordi, non so se le cose sono realmente così e non so quali possano essere le conseguenze reali. Comunque una legge del genere c'è anche in Francia, da un po' di tempo. Lì devono passare 3 anni prima che un film è uscito in sala a quando può uscire in streaming.
  3. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Credo sia successo spesso che i film Netflix siano usciti negli Stati Uniti per un periodo limitato e in un numero limitato di sale. Per quanto riguarda Netflix e le sale, la situazione pare che si stia un po' ammorbidendo. Roma di Cuaron uscirà anche in sala tra America ed Europa (anche in Italia) in alcuni cinema selezionati. Lo stesso The Ballad of Buster Scruggs, teoricamente, a inizio novembre è uscito in alcune sale tra Stati Uniti e Londra e pare sia prevista un'ulteriore distribuzione a breve, in Europa. E questo, a quanto pare, vale anche per altri film in uscita prossimamente sulla piattaforma...e fa ben sperare anche per The Irishman di Martin (che tra l'altro compie gli anni oggi). In Italia, a dire il vero, questo aspetto può essere frenato dal drecreto sulle piattaforme streaming e le sale cinematografiche che il governo vuole firmare...non so ancora bene come interpretarlo. Ma una soluzione di accordo tra le parti è la più intelligente e sensata...speriamo che ci si arrivi.
  4. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Ho visto anche io First Man di Chazelle. Il film appunto mostra da una parte la sfera familiare e privata di Armstrong e dall'altra la sfera lavorativa, che vanno anche a mischiarsi...ma il focus principale del film è sul tormento emotivo di Armstrong, sui demoni, sui pensieri, sugli obiettivi e sui dolori che affollano la sua mente. Inizialmente, nei primi 40 minuti, la mia impressione era che fosse un film ordinato, dritto, controllato ma che non fosse ottimo in niente...poi più avanti ho capito che trova la sua coerenza e il suo valore proprio in questo. Proprio in questa sua struttura controllata, ascetica, a basso profilo, pacata che viene mantenuta anche nei momenti più drammatici come possono essere i lutti o le problematiche durante le missioni...ma proprio per questo questi momenti, che hanno di per sè una carica drammatica, risaltano ma in modo sempre pacato, non caricato, non spettacolarizzato. Mi sono reso conto che il film è collegabile proprio al suo protagonista, Gosling. Nel senso che la sua struttura, la sua modalità narrativa mi ricorda proprio la linea comunicativa di Ryan Gosling. E in questa sensazione sempre intima e rigorosa risaltano anche bei momenti e belle scene, anche ben girate, come alcune scene in famiglia nella casa (soprattutto quando i suoi superiori gli dicono che la missione Gemini 8 era stata un successo, una scintilla quasi malickiana), ma anche le scene delle missioni (soprattutto quella finale sulla Luna, molto bella) e ho apprezzato anche gli inserti reali dell'epoca (non ho ben capito se anche la scena della protesta delle persone di colore lo era). A dispetto della struttura narrativa è girato con una camera a mano molto mobile, quasi frenetica e con una tecnica che rimanda, alle volte, al documentario. Non posso definirlo un grandissimo film perché secondo me in questo genere è difficile ottenere un gran film...ci sarebbe bisogno di osare molto di più. Ma comunque mi è piaciuto e lo ritengo ben riuscito. La La Land non mi era piaciuto, ma con First Man Chazelle torna a convincermi. In questo film è come se si riavvicinasse a Whiplash, con un protagonista essenzialmente solo, nonostante la presenza di familiari e affetti...solo con il suo obiettivo, obiettivo che necessita di tremendi sforzi. La sfumatura che ho trovato non molto azzeccata è il personaggio di Buzz Aldrin, che comunque è assai marginale...magari era ed è stronzo anche nella vita reale ma il suo aspetto caratteriale l'ho trovato eccessivamente calcato, quasi come a voler dare comunque al film una minima figura di antagonista, uno slancio emotivo non necessario.
  5. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Tra i 3 che ho visto è il più asciutto sia visivamente che narrativamente. Ma probabilmente è quello che più mi è piaciuto, forse anche più de Il carretto fantasma, che è ritenuto il suo capolavoro e che sicuramente è molto bello e molto affascinante, visivamente superiore di gran lunga. Ma per il tormento del personaggio di Terje Vigen, reso così bene anche dalla relazione tra il volto umano e il paesaggio, come dicevi, l'ho trovato veramente straordinario.
  6. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Causa influenza ieri sera non sono potuto andare a vedere Il settimo sigillo restaurato e domani non potrò andare a vedere il giapponese Zombie contro Zombie e il documentario su Friedkin, tutti a spettacolo unico...mannaggia Black Panther l'ho visto anche io ieri sera. Dalla sua parte ha sicuramente uno sviluppo differente rispetto ai soliti cinecomics. Prende molto soprattutto dall'action movie, con riferimenti a 007, Indiana Jones, Star Wars. C'è anche un tentativo di sottotrama sociale, a dire il vero assai posticcio. Nello sviluppo si tenta di fare qualcosa di diverso, con riferimento alla figura dell'antagonista...ma via via rimane comunque abbastanza prevedibile e standardizzato. L'ho trovato spesso troppo superficiale e lacunoso nello sviluppo narrativo, soprattutto dei dettagli. A partire per esempio dall'introduzione del film e dalla presentazione del Wakanda che è pressochè assente...ma più in generale non convincono pienamente, per me, anche alcune delle varie motivazioni dei personaggi. Può essere interessante perché tenta qualcosa di nuovo nel filone, ma non mi spiego il clamoroso successo sia di pubblico che di critica che ha avuto. Ho iniziato finalmente l'approfondimento sul cinema italiano che avevo in programma. Partendo da Sciuscià (1946), L'oro di Napoli (1954) e Il giardino dei Finzi-Contini (1970) di De Sica. Tre suoi film molto noti. Mi limito solamente a dire che la mancanza di Zavattini (quindi ne Il giardino dei Finzi-Contini) nel lavoro desichiano si nota tremendamente. E' lui il deus ex machina. Proseguendo poi con Germania anno zero (1948), India: Matri Bhumi (1959) e Il generale Della Rovere (1959) di Rossellini. Germania anno zero è il terzo film della "trilogia della guerra" dopo i capolavori di Roma città aperta e Paisà. Un film quasi in sospeso, interrotto come gli scenari della Berlino distrutta...con uno dei finali più intensi e più forti del cinema. India è un film-documentario sull'India che Rossellini realizzò a metà degli anni '50. In quel periodo intraprese un lungo viaggio nel paese asiatico, un viaggio che lo vide partire con come turista ma come vero e proprio esploratore. Non è un documentario vero e proprio perché la reale intenzione non è quella di documentare e perché c'è una parvenza di narrazione. Un film diviso in episodi che vedono al loro centro la natura e l'ambiente...è un film dalla forte connotazione ambientalista. E' lontanissimo dai suoi film precedenti e segna anche un momento di svolta per la sua carriera, ma ha dei momenti di pura e cristallina poesia come l'episodio della scimmia o quello della tigre. Da quanto ho capito, la sua visione è stata resa possibile grazie ad un restauro nel 2011...prima era praticamente invedibile ed era diventato quasi una leggenda. India è il film che Rossellini ha maggiormente amato tra i suoi lavori e da quel viaggio in India trasse anche una serie tv in 10 episodi, uscita lo stesso anno del film. Curioso è il fatto che anche un altro grandissimo regista sentì il bisogno pochi anni prima di andare nell'India da poco indipendente per girare un film..è il caso di Jean Renoir e del film Il fiume, del '51. E sia per Renoir che per Rossellini, si è trattato del primo film a colori.
  7. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    A quanto pare sì, questo film è un sequel diretto del primo di Carpenter...quindi tutti gli altri non vanno considerati in questo caso. Per quanto riguarda l'altra marea di film usciti tra il '78 e oggi credo sia abbastanza complicato capirci qualcosa, tra sequel, film che hanno solo il nome in comune e reboot. Qualcosina è uscito, ma in effetti non cose memorabili. Mirai, il film d'animazione, mi è piaciuto...così come Girl (altro che Eddie Redmayne e The Danish Girl). Con Johnny Eglinsh colpisce ancora mi sono divertito come non mi capitava da tempo e 7 sconosciuti a El Royale è un film abbastanza interessante. Purtroppo non sono riuscito a vedere A star is born e Soldado. L'anno scorso è uscito qualcosa di meglio, in effetti...non tanto a ottobre ma a settembre.
  8. Rhyme

    Film Horror - Thriller 2.0

    Per dimenticare quel troiaio di The Nun, lunedì 15 ottobre riesce nei cinema Halloween di Carpenter.
  9. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Negli ultimi giorni ho avuto modo di vedere in una rassegna 3 film usciti quest'anno a Venezia, in lingua originale. Ho avuto fortuna perché erano tra i film che ero più curioso di vedere. Tramonto (Napszállta) di László Nemes, 2018. Dopo il successo de "Il figlio di Saul", Nemes è tornato con un altro film storico. In questo caso siamo a Budapest, nell'Austria-Ungheria degli anni '10, prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale; prima del tramonto, appunto, della civiltà. La protagonista, Irisz, dopo tanti anni torna nella capitale con la speranza di essere assunta come modista nell'importante negozio di cappelli che un tempo era appartenuto ai suoi genitori e che ancora porta il nome di famiglia. Da qui ne seguono diverse vicessitudini, la ragazza è determinata ad inserirsi nel contesto in cui era nata e nel quale i genitori avevano vissuto, ma è anche decisa a far luce su alcuni misteri che circondano la sua famiglia. Il film ha lo stesso stile de "Il figlio di Saul", quindi macchina a mano che segue costantemente la protagonista, con continui movimenti e piani sequenza, giocando molto sul fuoco e fuori fuoco, sul campo e contro campo; differisce invece nel formato e nell'inserimento della musica. Anche in questo film il sonoro occupa un ruolo contrale (anche se minore rispetto a Saul) con suoni e voci che arrivano da uno spazio indecifrato, invisibile e che risuonano a diversi volumi come all'interno di una grotta; "Tramonto", a differenza de "Il figlio di Saul", l'ho visto al cinema e l'effetto è veramente diverso. Il film è opprimente, straniante, sferzante ma soprattutto è un film che nega. Nega inquadrature complete e ampie, ci nega la vista chiara ma al tempo stesso ci nega anche una percezione narrativa definita. Gli eventi ci appaiono oscuri, caotici e persino incomprensibili. Siamo costantemente sballottati con Irisz che non sta ferma un secondo, vagando per i vicoli oscuri di Budapest e tornando poi sempre nel negozio di cappelli, uno dei pochi luoghi apparentemente sicuri e civili in una società in tumulto. Si odono decine di domande a cui nessuno risponde, si cercano risposte a domande che nessuno ha posto, più il film va avanti e più veniamo immersi in un ambiente di mistero, di oscurità, di caos. Sembra quasi di essere in un incubo, tutto è sfuocato, nulla è netto e chiaro ma, almeno io, si viene investiti da una costante angoscia, una sensazione di continua apnea, di minaccia. Per certi versi mi ha ricordato Mother! di Aronofsky, per la protagonista seguita come un'ombra, per il suo continuo vagare e per il trovarsi in situazioni sempre più oscure e incomprensibili. A parte della critica "Tramonto" non è piaciuto e molti lo hanno definito noiosissimo, a me invece è piaciuto davvero tantissimo. L'ho preferito a "Il figlio di Saul", per esempio. Credo che Nemes in questo film abbia perfezionato maggiormente la sua regia e abbia fatto un film più strutturato e complesso. "Il figlio di Saul" è un ottimo film, ma non ero riuscito ad entrare in simbiosi ed empatia con il protagonista; il suo personaggio, le sue azioni e la linearità degli eventi non mi avevano conquistato al 100%. In questo caso la sensazione che mi ha comunicato "Tramonto", nel suo incedere crescente, è incredibile; è uno di quei film che dopo la fine mi ha lasciato un macigno e che mi ha spinto a rifletterci a lungo. Un film che per me è pura magia, con una fotografia splendida. La sensazione è che la protagonista, Irisz, rappresenti l'Europa in quel momento, ma anche noi stessi, anche l'Europa attuale. Un'osservatrice che si muove ingenua, turbata, confusa, trattenuta e sballottata dagli eventi; divisa tra la luminosità, il rigore, il lusso ma anche la depravazione celata dell'Impero al massimo dello svilippo e lo strato di oscurità e violenza crescente, pronta a far esplodere tutte le tensioni con impeti distruttivi. Cerca di capire, cerca di conoscere le motivazioni di questi eventi crescenti ma non ottiene risposte, perchè non ci sono motivazioni ("Cos'hai visto? Niente, perchè non c'è niente da vedere"). Assiste così alla crescita del male, un male risvegliato e che è insito nell'Uomo. Una follia insensata, assurda, senza spiegazione: è la guerra del XX secolo. Bellissimo il finale. Per me è veramente un film bellissimo, con una forza incredibile. Non-Fiction (Doubles vies) di Olivier Assayas, 2018. Il suo film precedente, Personal Shopper, mi era piaciuto molto e secondo me con questo film si è confermato. Nello stile è differente, è una commedia borghese parlata, quasi alleniana in questo senso. Protagoniste sono soprattutto due coppie, un editore sposato con un'attrice e uno scrittore sposato con una collaboratrice di un politico, più altre persone che ruotano attorno. E' un film molto parlato, visto che i personaggi si trovano quasi sempre immersi in discussioni sulla tecnologia, su internet, sul futuro dell'editoria, sui libri, sul digitale, quindi è soprattutto la scrittura ad essere il tema principale, discusso in ogni suo aspetto, con a margine anche alcune discussioni sulla politica. Quindi comunque sono temi molto attuali e al centro della nostra vita. Assayas però si limita a declinare l'aspetto sotto tutti i punti di vista che ci possono essere, non da giudizi e non indica qual'è la verità, perché una verità non c'è, bensì ci sono visioni differenti. Il film dopo un po' rischia di cadere nell'eccessiva retorica e nella pedanteria, ma molto intelligentemente Assayas cambia registro e sposta l'attenzione sulla vita di queste coppie ed in entrambi i casi ci sono tresche e tradimenti, quasi sempre intuiti dai relativi partner. Questo va un po' a smascherare il teatrino della borghesia intellettuale, va a rendere quasi sciocchi tutti i discorsi sul futuro dell'editoria e dei libri, visto che non sanno tenere saldo il loro di futuro. E infatti l'ulteriore svolta c'è proprio con uno dei personaggi che decide di "metter mano" alla propria relazione abolendo ogni tipo di comportamento scorretto...e questo porta anche a benefici privati. Assayas si dimostra quindi duro con una certa fetta della società ma anche con i personaggi legati ad ambienti culturali o artistici, infatti l'unica che non ha segreti e quella che parla in modo più diretto è la collaboratrice del politico. E' una grandissima sceneggiatura, veramente scritta in modo fine ed egregio, con una sottile ironia costante e con uno schema strutturale che ho trovato bellissimo. Assayas si conferma per me tra i maggiori autori contemporanei. Il messicano Nuestro tiempo di Carlos Reygadas, 2018. Questo film è stato molto apprezzato a Venezia ma a me non è piaciuto particolarmente. Parla di una famiglia che vive nella campagna messicana e lavora in un ranch, allevando tori. E' una coppia aperta e ad un certo punto la moglie si innamora di un americano, a quel punto lei e il marito si troveranno a dover gestire il nuovo momento. E' un film che mi ha detto poco, onestamente, ho sentito molto la durata (3 ore) e i temi non li ho trovati espressi in modo approfondito o coinvolgente. Comunque, in quello che vuole essere e per come è pensato, è un buon film, dal senso molto artigianale narrativamente e visivamente. Ha delle scene di grandissima regia, fuori dal comune. Specialmente la scena iniziale dove ci sono dei bambini e dei ragazzi che stanno facendo il bagno in uno stagno; quella per me è una scena che è fantastica. Già l'ambientazione con questa sorta di terreno fangoso intorno allo stagno anch'esso reso marrone dal fango, ma soprattutto il modo di inquadrare i ragazzi trovo che abbia una sensibilità che raramente si vede. Ma anche altre scene, soprattutto inquadrature degli ampi spazi del ranch o la scena finale con i tori, denotano una grande capacità registica di Reygadas. Ma dai giudizi che avevo letto mi aspettavo di più ed ho preferito di gran lunga i film di Nemes e Assayas. Comunque ogni anno ci sono film non in lingua inglese di ottimo valore, ma quest'anno in particolare, per adesso, il confronto tra film americani e film non americani trovo che sia impietoso. Al di là di qualche buon film sparso, per me le uscite americane non reggono il confronto dei vari Dogman, Un affare di famiglia, Non-Fiction e Tramonto. E anche le prossime settimane sembra che non andranno a capovolgere le cose...non vedo tanti grandi film americani all'orizzonte in questa stagione, mentre sono in uscita i vari Roma di Cuaron, Cold War di Pawlikowski, L'albero dei frutti selvatici di Ceylan più parecchi altri che sembrano interessanti. Questa è un po' anche una sfortuna per noi, perché sarà dura per Dogman rientrare nella cinquina degli Oscar.
  10. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Ho visto BlacKkKlansman di Spike Lee, film che parla di un poliziotto di colore che negli anni '70 si infiltra nel Ku Klux Klan con l'aiuto di un collega ebreo. Buon film, diretto bene e che si muove sapientemente, da tradizione autoriale, tra i generi...regalando momenti divertenti, momenti riflessivi, momenti di suspance e anche momenti drammatici. Non mi ha, comunque, entusiasmato più di tanto perché si muove all'interno di schemi e intenti un po' troppo classici e statici, con l'intento didascalico molto evidente e lineare...e con diversi personaggi realizzati in maniera eccessivamente macchiettistica, cosa sbagliata sia dal punto di vista cinematografico che ideologico. Ma comunque un buon film. Adam Driver è uno degli attori del momento, soprattutto del cinema autoriale...in questo periodo è al cinema con i film di Terry Gilliam e Spike Lee ma di recente ha lavorato anche con Scorsese, Jarmusch, Soderbergh, prima ancora con i Coen e tra i suoi prossimi lavori c'è anche il nuovo film di Leos Carax. E' un attore che mi piace molto e che sta crescendo sempre di più, risultando adatto a molti ruoli diversi in cui lascia comunque la sua impronta precisa. Così come per L'uomo che uccise Don Quijote con Gilliam, ho anticipato la visione di BlacKkKlansman con un altro film di Spike Lee, "La 25° ora". Anche in questo caso non mi dilungo ma è un film per me bellissimo. Michelangelo - Infinito. Su Sky sono presenti tutti i documentari d'arte da loro prodotti, sugli Uffizi, Raffaello, Musei Vaticani ecc., in occasione dell'uscita al cinema di "Michelangelo - Infinito". Me ne sono davvero innamorato. Chiaramente sono molto enfatizzati, ma mi hanno appassionato molto...soprattutto quello su Raffaello che ho trovato bellissimo. "Michelangelo - Infinito" continua su questa scia ed ho apprezzato molto anche questo, anche se però la parte di narrazione fantastica in questo caso l'ho trovata eccessiva e fuori misura. Opera senza autore, di Donnersmarck. Film che mostra uno spaccato di vita di un bambino che poi diventa un pittore, partendo dalla Germania del 1937 arrivando a quella del 1961, mi sembra di ricordare...includendo quindi, ovviamente, il periodo nazista e il dopo guerra, affrontando anche (o forse soprattutto) il tema dell'arte e la diversa visione che si poteva avere su di essa. E' un film che mette tantissimi argomenti sul fuoco e li dosa, per me, male. Tanti temi sono accennati per poi essere abbandonati in modo brusco oppure accantonati. La stessa storia d'amore centrale è altalenante, l'episodio che si vede ad inizio del film sembra centrale ma poi cade nel dimenticatoio e così via. In generale si fa fatica ad individuare la "strada" di questo film. Ha una sintassi più televisiva e sarebbe stato adatto probabilmente più per una serie tv...ma è un problema soprattutto di sceneggiatura; mi viene in mente "Duello a Berlino", di cui parlai qualche settimana fa che è un altro film che tratta un lungo tratto di tempo e lo ricorda pure per alcuni tratti della storia d'amore, eppure è basato su una sceneggiatura spettacolare che gestisce il tutto in maniera perfetta. Cosa che non si può dire di questo film, ne esce un intreccio ingarbugliato e anche sbagliato, dallo sviluppo molto trattenuto, con anche un montaggio non proprio impeccabile, con diverse scene inserite in modo posticcio e quasi casuale. L'elemento più interessante è probabilmente la parte finale, incentrata sul lavoro artistico. Non è comunque un pessino film, si può guardare e, nonostante la durata di 3 ore e 10 minuti, non appesantisce la visione. In questi giorni ho virato un po' anche sull'animazione. Dopo una parentesi nostalgica con Pinocchio, ho visto Gatta Cenerentola di Alessandro Rak. Non riuscii a vederlo quando uscì lo scorso anno al cinema e l'ho recuperato su Sky. E' la rivisitazione dell'omonima fiaba, ambientato a Napoli in un futuro vicino. Non è male, trovo che sia un'opera coraggiosa e con alcuni punti davvero interessanti. Ha un tono molto dark, quasi noir, con quella serie di ologrammi che rimanda a Blade Runner o probabilmente alla tradizione giapponese. Inizialmente non mi è piaciuto molto il disegno dei personaggi, ma ho apprezzato molto sin da subito la realizzazione e l'animazione degli ambienti e delle scenografie. Non, di certo, impeccabile ma interessante...una luce diversa nel panorama cinematografico italiano. Il cinema d'animazione italiano è molto poco conosciuto o anche del tutto ignorato, ma è presente, seppur in piccolo e rappresentato dai pionieri Pagot e Domeneghini negli anni '40, da Enzo D'Alò soprattutto negli anni '90 e da Alessandro Rak negli anni recenti. Ma il bello del cinema è che non si finisce mai di scoprire nuove storie e nuovi personaggi e mi sono imbattuto in Bruno Bozzetto che va ad inserirsi in questo tema e che si prende anche la vetta. E' famoso per la serie animata del Signor Rossi (di cui ho un vaghissimo ricordo da piccolo, ma non saprei dire), ma in generale è autore di molti cortometraggi e anche di lungometraggi. Alcuni suoi lavori sono andati a Cannes, ha vinto l'Orso d'Oro a Berlino per i cortometraggi, è stato candidato all'Oscar e ha partecipato ad un progetto Hanna-Barbera. Il suo lavoro ha colpito anche gli animatori americani, la figlia di Walt Disney l'ha definito "una leggenda, come mio padre" e ha influenzato anche l'animatore John Lasseter, direttore della Pixar e poi anche della Walt Disney. Di recente è stato pure invitato negli studi Pixar e Disney in America per tenere degli incontri con gli animatori e mostrare alcuni suoi lavori. Ho visto alcuni dei suoi cortometraggi, quelli premiati, e ho visto West and Soda del 1965, che è stato il suo primo lungometraggio...a distanza di 16 anni dai primi 2 lungometraggi d'animazione italiani. Film parodia western che non ha una grande animazione ma che ha moltissime trovate ironiche, dinamiche e rocambolesche; il western rivisto in chiave ironica e parodistica. Va ad inserirsi nel periodo degli spaghetti-western ma la lavorazione è iniziata nel 1962, prima quindi dell'uscita di "Per un pugno di dollari" o degli altri film di quel filone...quasi un precursore. I film non si sono incrociati o influenzati perché la loro lavorazione si sviluppò in contemporanea, ma è curioso vedere come alcuni elementi siano anche simili...persino dettagli come la risata di un personaggio o un'inquadratura. E' un tipo d'animazione tipico soprattutto di cortometraggi e scenette animate, perché loro facevano quello, anche nel Carosello, ad esempio...non erano ovviamente disegnatori d'animazione sullo stile Disney o simile. Perciò per loro questo film è stato una grande sfida e hanno dovuto imparare strada facendo, anche "semplici" elementi come i dialoghi, o come i campi/controcampi a cui non erano abituati. E' un'opera notevole che vista oggi è meno "travolgente" ma perché molti elementi sono collegati ed ampliati in film o filoni successivi...i successivi spaghetti-western, o addirittura il genere "demenziale" anni '70-'80, Mezzogiorno e mezzo di fuoco, arrivando persino a "Mucche alla riscossa". Sto aspettando che mi arrivi quello che è considerato l'altro suo capolavoro e ancor maggiore, "Allegro non troppo" del 1976, dichiaratamente ispirato a "Fantasia" della Disney.
  11. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Lo davano spesso in tv durante le feste di Natale, soprattutto nel periodo di Befana, visto che è ambientato in quel periodo. Non so onestamente se lo hanno trasmesso anche negli ultimi anni. Musiche di Paolo Conte, Dario Fo che doppia uno dei protagonisti... E' comunque più leggero rispetto a La gabbianella e il gatto, ma lo ricordo pochissimo.
  12. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Altro autore di cui non ho visto niente e di cui ho in programma l'approfondimento. Questi, Effi Briest, Il matrimonio di Maria Braun... Rileggerò questo post quando li vedrò. Chissà quando sarà...
  13. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Sì, da Sepulveda...che tra l'altro da la voce anche ad un personaggio. Sarei curioso di riguardare anche l'altro film di Enzo d'Alò, La freccia azzurra...anche quello l'ho visto tantissimi anni fa.
  14. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Il caos è proprio il fulcro del film. Più che caos, il mischiare e saltare costantemente tra realtà e immaginazione, tra sogno e veglia...questa è una caratteristica che negli anni '80-'90 è assai frequente, a partire da Cronenberg. Ma anche il circolo tra follia e non follia...con accenni anche a considerazioni più estese ("E se il motto dell'homo sapiens "andiamo a fare shopping" sia il grido del vero malato mentale?"). Caratteristiche che sono presenti, in modo differente, anche nel suo ultimo film. L'ho trovato davvero un gran film, riesce a far rimanere lo spettatore in uno stato di continua angoscia, incertezza, risucchiato nel vortice disturbato dei dubbi e del terrore dei protagonisti. Con una regia che è di effetto assoluto...quasi ogni immagine trasmette proprio fisicamente angoscia per come è inquadrata, per come è costruita, ma soprattutto per le distorzioni degli ambienti e dei volti tramite le lenti usate nella fotografia. Grande interpretazione soprattutto di Brad Pitt, il cui personaggio, per movenze ed espressioni, rimanda a tipici personaggi fantasy. Ottimo film, per me. Gli altri purtroppo non li ho visti ma sono sicuramente deciso a recuperarli, a partire da Brazil.
  15. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Dopo esattamente 20 anni ho rivisto La gabbianella e il gatto. Ma quant'è bello questo film d'animazione? E' il primo film di cui ho ricordo al cinema, il primo film di cui ho ricordo in generale e rivederlo è stato un piacere grandissimo. In quest'opera ci sono un cuore, un'anima immense, con un'animazione molto bella e una colonna sonora fantastica...poesia pura. Ho visto al cinema Gli Incredibili 2. Il primo mi piacque molto e ho apprezzato anche il secondo capitolo. Non raggiunge, però, il livello del primo...si adagia un po' troppo sulle caratteristiche del film precedente e cerca, in modo troppo forzato, di rendere protagonista la madre. I personaggi di contorno non sono realizzati in modo ottimale e le motivazioni dell'antagonista non sono strutturate...anche se ad essere strutturato diversamente è proprio lo sviluppo, con l'antagonista che si rivela solo in fondo. Film comunque piacevole e con supereroi più genuini e affascinanti rispetto a quelli dei film in live action. Jack-Jack è il personaggio dell'anno, comunque. L'uomo che uccise Don Quijote, di Terry Gilliam...senza spoiler. Finalmente il suo progetto dei sogni si realizza. Sono 25 anni che sta lavorando a questo film, che è un po' il suo sogno e che ha trovato continue ed infinite difficoltà. Durante le varie produzioni sono stati scelti e sostituiti tantissimi attori, Johnny Depp ed Ewan Mcgregor per il ruolo di Toby, ad esempio, arrivando infine ad Adam Driver. Alcuni attori scelti inizialmente sono morti prima di poter girare come John Hurt per la parte di Don Quijote... ma finalmente il film è uscito. La sceneggiatura è stata cambiata centinaia di volte e alla fin fine, forse il film è quasi totalmente proprio su questa Odissea, una sorta di film autobiografico. Parla di Toby, un regista talentuoso (Adam Driver) che sta girando uno spot in Spagna, con protagonista Don Quijote. Sul set è venerato, è coccolato, viene trattato come un genio, è una persona costantemente elegante e ordinata. Una sera trova, nel materiale venduto da uno zingaro, una copia del dvd di un suo vecchio film...il suo primo film, che aveva girato 10 anni prima come tesi di laurea, che si intotola proprio "L'uomo che uccise Don Quijote". Rimane immensamente stupito e pensa a quei fantastici periodi, quando era giovane e il suo talento era più puro e sperimentale. Si ricorda delle varie persone che lo affiancarono in quel lavoro, abitanti spagnoli di un piccolo villaggio, tra cui un anziano calzolaio che aveva scelto come Don Quijote (Jonathan Pryce); una persona che inizialmente non riusciva ad entrare nella parte ma in seguito aveva trovato una grande forza recitativa. Il regista decide di tornare in quel paesino per ritrovare l'ispirazione e per ritrovare quelle persone. Scopre che dai tempi di quel film, le cose non sono andate benissimo per alcune di quelle persone. Scopre anche che l'anziano signore è convinto di essere Don Quijote e ha vissuto tutti questi anni con questa convinzione, lavorando in una sorta di freak show, rigorosamente con la sua armatura. Quando i due si incontrano, l'anziano scambia il regista per Sancho Panza e da qui in poi inizia una serie infinita di avventure tra il comico e il fantasioso. Come da stile di Gilliam, la storia si perde tra realtà ed immaginazione, tra follia e lucidità, concludendo in un finale quasi felliniano. E' un film che ha dei difetti, in particolare per me nella seconda parte perde un po' di equilibrio in alcuni punti. Ma è, secondo me, un ottimo film, un film magico, un'avventura trascinante ed immersiva. Se si vuole guardare questo film si deve tener presente le vicessitudini che Gilliam ha dovuto attraversare in questi 25 anni, con continui problemi, continui rimandi, il serio rischio anche che non uscisse...perché il film è anche questo, è soprattutto questo. E' un film in cui c'è tutto Gilliam, c'è tutto questo arco di tempo, è anche una dedica a chi non c'è più come John Hurt che avrebbe dovuto interpretare Don Quijote. E' una visione di Gilliam sul cinema, sull'arte con i suoi lati anche negativi. Lui si rivede nel protagonista, nel regista che nelle scene iniziali appare svuotato rispetto alla sua versione giovanile, sembra aver perso la passione per il cinema e per il suo lavoro e che si trova ad affrontare quel viaggio picaresco, visto inizialmente come follia che si trasforma sempre più in realtà, fino a che non si trova a combattere contro quelli che sembrano i suoi demoni. E' un film che va visto senza schemi mentali, senza ragionare troppo così come trasmette il personaggio di Don Quijote, liberarsi dalle strutture e godere scena dopo scena questo film che ci trascina al confine tra sogno e veglia, tra realtà ed immaginazione. E' un film che sorprende costantemente e dove c'è davvero tutto: c'è il cinema, c'è il teatro, c'è il circo, la proiezione, c'è il fantasy, c'è una riflessione sulla vita, sull'arte. Un film con molte trovate divertenti e visivamente affascinanti. Visivamente è curato ed è ricchissimo e Adam Driver e Jonathan Pryce, soprattutto, sono fantastici. Ci sono scene, comunque, che sono già cult, per quanto mi riguarda. In precedenza ho visto anche "L'esercito delle 12 scimmie" sempre di Gilliam, per avvicinarmi a lui visto che lo conoscevo solo per i Monty Python. Non mi dilungo oltre...ma è un film che mi è piaciuto davvero tanto.
  16. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Onestamente nemmeno io conosco la vicenda. Lessi qualcosa quando uscì il film, ma ne so pochissimo. Personalmente e generalmente, ho sempre respinto queste diatribe in ambito cinematografico. Nel caso specifico, ho letto delle proteste della madre della persona che fu uccisa in quella vicenda che tramite il proprio avvocato ha addirittura chiesto 1 milione di euro. Ma rispose Garrone in persona. Il film è un film di fantasia, è solo ispirato alla vicenda...prende ispirazione dalla storia di base, ma poi prende strade proprie. Garrone ha detto che in fase di scrittura della sceneggiatura perdeva via via interesse verso quella precisa storia e non era suo interesse replicarla. Infatti comunque i nomi dei personaggi non sono gli stessi, il nome stesso del film è diverso e la storia è una storia universale, che si allarga molto oltre ad un singolo caso...così come le ambientazioni che sono splendidamente metaforiche.
  17. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Verissimo. Ora non ricordo perfettamente le varie situazioni degli scorsi anni, però c'è anche da dire che quest'anno per me c'è veramente un abisso e Dogman è un film troppo superiore. Avrei potuto capire un "duello" con Loro, anche se a me non è piaciuto e non trovo ci sia paragone, però tratta un argomento che piace molto anche all'estero e l'Academy già in passato ha dimostrato di apprezzare il cinema di Sorrentino, che è un nome conosciuto all'estero...però non essendoci, non c'era scampo. Altra scelta sarebbe potuta essere Lazzaro felice, ma è meno "forte", meno universale e meno completo di Dogman. Qualsiasi altra scelta non avrebbe avuto senso. Però appunto non si sa mai e a volte anche la qualità e il merito superiori vengono messi da parte. Perciò bene che abbiano fatto la scelta giusta e in bocca al lupo a Garrone.
  18. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Era scontato, ma non mi sarei stupito onestamente nel vedere un'altra scelta...vista la capacità distruttiva che abbiamo. Sarebbe stato folle ed insensato non scegliere quel grandissimo film che è Dogman che merita, nel suo piccolo, di poter concorrere per gli Oscar. Poi se riuscirà ad entrare nella cinquina o se non ci riuscirà è un altro conto...speriamo ovviamente che ci riesca.
  19. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Grazie all'ultimo week end di Fuori Orario ho avuto modo di vedere per la prima volta dei film di questi grandi autori del Risorgimento autoriale europeo anni '60-'70. Viaggio a Citera (1984) di Theo Angelopoulos. Il regista greco attinge argomenti e temi dalla mitologia e letteratura classica greca, riutilizzandoli per commentare la recente storia greca. E' un regista che ama i lunghi piani sequenza e i lunghi movimenti di macchina e che si ispira al cinema di durata di Antonioni. Questo film (sceneggiato anche da Tonino Guerra) parla di un anziano signore che torna in Grecia; da giovane aveva combattuto nella resistenza greca e successivamente era stato in esilio per 32 anni in Russia, dove si era fatto una nuova famiglia. Tornato in Grecia torna dalla moglie e dai due figli ormai adulti, ma è come un'ombra, un fantasma. Insieme alla famiglia torna in un paesino in cui aveva vissuto, tra le colline dove aveva combattuto, ritrovando un suo vecchio amico ma trovandosi fuori luogo...tutti gli abitanti di quella zona si stanno accordando per cedere i terreni ad un'impresa di costruzioni edili, lui è l'unico in disaccordo impedendo così la realizzazione dell'accordo e scatenando la furia degli abitanti. A quel punto, visto che non ha più la cittadinanza greca e che ha causato problemi in quel paesino, il governo ne decide l'espulsione dal paese. E' come una sorta di ritorno di Ulisse in patria, ma quello che torna non è più Ulisse e il luogo in cui torna non è più la sua patria. E' un'ombra in cerca di una casa per la sua anima. Si distinguono appunto i lunghissimi movimenti di macchina e la durata estenuante di molte scene. Un film che rimane molto nebuloso. Molto probabilmente non è tra i suoi film migliori o più famosi. Cercherò di recuperarne altri. La tragedia di un uomo ridicolo (1981) di Bernardo Bertolucci. Parla di un uomo, un industriale, a cui rapiscono il figlio. Lui e la moglie, in modi e con sensazioni differenti, si trovano a dover affrontare la faccenda. Un film con riferimenti politici, tendente alla commedia agrodolce e con sfumature noir...per il protagonista e per la voce over che esprime i suoi pensieri. Un film piacevole per la fotografia di Carlo De Palma, per le musiche di Morricone, per l'ottima regia di Bertolucci ma soprattutto per il ruolo di un grandissimo Ugo Tognazzi (vinse anche il premio per il miglior attore al Festival di Cannes, per quella che da molti viene definita come una delle sue migliori interpretazioni). Il film ruota tutto attorno alla sua figura, alla sua vita, al suo rapporto con il figlio, alla differenza generazionale, al suo ruolo da borghese italiano. Interpretazione magistrale, la sua presenza vale l'interno film, ma anche il suo personaggio, che sembra calato perfettamente su di lui...o probabilmente è l'inverso, è lui che fa propri in maniera unica i personaggi che interpreta. Troppo presto, troppo tardi (1982) di Straub e Huillet. Due autori praticamente sconosciuti al grande pubblico, ma considerati tra i più grandi personaggi della seconda metà del Novecento...sono una coppia, marito e moglie, francesi, che hanno lavorato tanto anche in Germania e Italia. Di certo sono tra i più sperimentali e anche tra i più difficili da guardare. Il loro cinema è svuotato da ogni elemento cinematografico: scenografie, sceneggiatura, recitazione, movimenti di macchina ricercati, era ritenuto un "ritorno al cinema dei fratelli Lumiere". Perseguivano un totale rifiuto della narrazione e di ogni aspetto commerciale e molti loro film sono letture di parti di romanzi o lettere o opere letterarie, credevano che il miglior adattamento di un libro fosse la lettura di esso. E spesso ci sono voci over che leggono o attori che non recitano e non interpretano, ma ripetono semplicemente dei testi, come se stessero leggendo; con la telecamera che "riprende il mondo". Chiaramente si può capire quanto sia difficile da amare e quanto sia estremo questo tipo di cinema. "Troppo presto, troppo tardi" è di questa tipologia, è un film dedicato a Friedrich Engels e si svolge in due parti. Nella prima ci sono immagini della campagna e di città francesi, semplici immagini fisse o panoramiche, e una voce over che legge una lettera di Engels a Kautsky; nella seconda parte ci sono immagini dell'Egitto e un'altra voce over che legge una parte di "Lotte di classe in Egitto" di Mahmoud Hussein. Onestamente è quasi impossibile portare a termine la visione, ho visto solo la prima parte. Per adesso trovo il loro cinema una provocazione abbastanza inutile, ma proverò in futuro a riguardare qualcosa. San Michele aveva un gallo (1972) dei fratelli Taviani. Per ultimo il film che per me è di gran lunga il migliore del lotto. Un film, ispirato ad un racconto di Tolstoj, che si divide in 3 atti. Siamo in Italia nel 1870 e il protagonista è un anarchico internazionalista che, a capo del suo gruppo, compie un tentativo rivoluzionario armato nel piccolo paesino in cui abita, per far conoscere le intenzioni e le idee del suo gruppo e della corrente che si sta diffondendo in Italia e in Europa. Viene catturato e condannato a morte, ma all'ultimo viene graziato e la pena viene trasformata nell'ergastolo. La seconda parte si svolge quindi in una cella di una prigione, dove rimane per 10 anni. Nell'ultima parte, dopo i 10 anni, viene fatto uscire per essere trasferito in un'altra prigione nella laguna veneziana, quindi, condotto in barca, incontra altri prigionieri politici con i quali si confronta. E' chiaramente un film storico e politico, quegli sono gli anni in cui si diffuse il socialismo con la Prima Internazionale e si creò la spaccatura tra la visione degli anarchici e la visione di Marx. Nel film appunto viene mostrata questa differenza, i diversi ideali, il diverso modo di intendere la rivoluzione. Il protagonista, Giulio Manieri (interpretato da un immenso Giulio Brogi), è un anarchico e ha l'idea della rivoluzione tramite attacchi armati...mentre i giovani che incontra sulla barca nella terza parte del film sono marxisti, lavorano in giornali, in associazioni, con una visione più politica e di attesa per preparare il terreno per la rivoluzione futura. Tra l'altro sono anche argomenti che, in parte, ho studiato recentemente, perciò ci ho ritrovato quanto studiato. Comunque detto così può sembrare un polpettone politico indigesto ma non è assolutamente così. E' un film per me bellissimo, con una magnifica capacità creativa e di immaginazione dei fratelli Taviani, un film per niente pesante e che si mischia anche con la commedia agrodolce. La scena della prigione è fantastica, per circa 30 minuti si svolge eslusivamente nella piccola cella in cui il protagonista è rinchiuso giorno e notte, senza aver la possibilità di uscire nemmeno per 1 secondo, ma è la forza del suo ideale a permettergli di resistere. Lui, molto semplicemente, si organizza la giornata ora per ora...ginnastica, pasti, riunioni politiche, studio di materie diverse giorno per giorno ed ora d'aria. Tutto si svolge grazia alla sua mente e alla sua fantasia, nelle riunioni politiche mentalmente interpreta 4 personaggi diversi, durante i pasti immagina di mangiare i piatti più lussuosi e golosi possibile, immagina anche di uscire all'aria aperta, immaginando di tornare a vendere gelati ai bambini. Sono tra i 30 minuti cinematografici più belli che abbia visto, i Taviani riescono in modo sbalorditivo e rendere quelle situazioni e a convincere veramente lo spettatore su quello che Giulio sta immaginando; la scena della riunione di lavoro, con il protagonista che grazie al montaggio interpreta 4 persone, è meravigliosa, così com'è grandiosa la scena in cui immagina di tornare a vendere i gelati, con le voci dei bambini, i suoni dell'esterno, l'erba o l'acqua che appare per un momento sulle pareti. L'essenza del cinema concentrata in una stanza di pochi metri quadrati, in circa 30 minuti...un mondo racchiuso in 20 metri quadrati. Tutto ciò è ovviamente esaltato dall'attore, Brogi, che è di una bravura estrema. In quei minuti si racchiudono 10 anni, con il passare delle stagioni e il ripetersi delle sue azioni, i pasti in particolare. Molto bella è anche la terza parte, nella laguna veneziana. La prima volta che vediamo Giulio all'aperto ci riabituiamo anche noi all'aria e all'esterno e la telecamera vola sul pelo dell'acqua riprendendo la laguna in una lunga carrellata, in una metafora dello sguardo e dello spirito del protagonista che da una stanza chiusa e limitata torna a espandersi nello spazio aperto. Spazio che è libero, ma è anche monotono, ripetitivo come se fosse un'altra prigione. Giulio è un personaggio bizzarro e lo era anche prima di andare in prigione, nella cella inoltre ha manifestato segni di squilibrio mentale ma è riuscito a superare i 10 anni grazie alla forza del suo ideale. Quando incontra altri prigionieri politici è contentissimo, vuole sapere a che punto è la rivoluzione, per quali attacchi sono stati catturati, ma quando scopre la verità rimane sconvolto. Sono passati 10 anni da quando era al centro della vita politica e adesso non è al corrente delle novità. La sua felicità e la sua voglia di notizie si infrange contro la consapevolezza che i giovani di quel momento avevano una concezione differente, una visione politica diversa. Come dicevo, lavorano nei giornali, viaggiano in Europa per convegni, fanno parte di associazioni...in poche parole, si sta assestando una visione socialista completamente differente dalla sua. E a Giulio sembra quasi che quei giovani lo sbeffeggino, lo prendano in giro. Ed è questa "scoperta" che lo abbatte, molto più dei 10 anni di prigione. Un film quindi sulla grande scissione del socialismo, su fatti storici, politici ma anche la rappresentazione di un intellettuale lontano dalla realtà e distante dal popolo...ed è un concetto che può espandersi molto più lontano rispetto al singolo anarchico Brogi. Da considerare che il film è del periodo successivo al '68, per far capire un po' il periodo... Ma è limitativo parlare di questo film in chiave esclusivamente politica, a me non frega nulla dell'idea in sè...trovo che sia davvero un film bellissimo per come è ideato, per l'equilibrio che ha, è un film che ha una forza pazzesca in ogni scena, è un film che incarna il cinema, ha una brillantezza enorme ed è interpretato da un attore che è bravissimo. E' il primo film dei Taviani che guardo e voglio recuperarne il più possibile. Ho visto anche il documentario su Salvador Dalì uscito ieri, il pittore che amo di più, probabilmente. E ho trovato il documentario un'occasione mancata e sprecata. Scelte a mio avviso pessime e lavoro sostanzialmente inutile...
  20. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Esatto. E questo per me fa perdere un po' la magia di tutta la vicenda che per me è bellissima. Il finale mi è suonato un po' come la classica frase "Non fatelo a casa", come un po' a voler rientrare in ambiti più convenzionali. Secondo me non ce n'era bisogno o poteva essere ideato in modo più efficace.
  21. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Seconda parentesi francese. Playtime (1967) di quel genio di Jacques Tati. E' il suo quarto e penultimo film cinematografico e senza dubbio il suo lavoro più complesso e ambizioso. In primis per il set; ha fatto costruire in pratica una piccola città, con una centrale energetica apposita, strade ed interi palazzoni. Il set fu chiamato Tativille e l'intezione di Tati era quella di donarlo alla città di Parigi per farne una "città del cinema" del tipo di Cinecittà, ma la sua idea non si realizzò e, se non sbaglio, parte delle strutture furono abbattute per farci passare un'autostrada; comunque per questo film furono spesi moltissimi soldi. Già in Mon Oncle aveva affrontato il tema del cambiamento sociale, della tecnologia dilagante e su come essa abbia influenzato non solo i compiti e le azioni dell'uomo ma anche i piccoli gesti, i comportamenti, i rapporti. In Playtime tutto ciò è reso in modo più colossale con questa città, che dovrebbe rappresentare la periferia di Parigi, formata da strade grige, auto grige, edifici tutti uguali, geometrici e grigi con all'interno labirinti di cuniculi, uffici e porte a vetri, lavoratori che vanno da una parte all'altra senza sosta, oggetti strani e buffi. Un mondo asettico, freddo, senz'anima. In tutto ciò, arriva un gruppo di turisti americani per visitare Parigi, ma di fatto Parigi non la vedono, vedono solo questi edifici e questo tram tram...le uniche viste di Parigi sono due riflessi in una porta a vetri, la Torre Eiffel prima e l'Arco di Trionfo poi. Tati ovviamente appare nei suoi classici panni, nel suo personaggio, ma di fatto è più uno spettatore. Il film tende quasi alle Sinfonie delle città degli anni '20-'30 ma in versione moderna e accentrata. Nella prima parte Tati entra in uno di quegli edifici per un appuntamento importante, ma si perde nel labirinto di cuniculi, uffici, stanze e non riesce ad incontrare la persona che cerca, che pure si trova sempre a pochi passi da lui...nonostante i sistemi di comunicazione più sofisticati, nonostante la trasparenza di contatto rappresentata dalle innumerevoli porte a vetri, trasparenti, c'è un'enorme incomunicabilità ed incapacità di contatto. Nella seconda parte viene mostrata la serata d'apertura di un ristorante di lusso e il film esplode con l'infinita serie di imprevisti che si verificano; dalla mattonella della pista da ballo che si stacca, ai contatti elettrici che non funzionano bene, alle difficoltà in cucina, ai camerieri poco professionali che si ubriacano, alla forma scomoda delle sedie che strappa gli abiti dei camerieri e si stampa sulle giacche o sulle schiene degli ospiti, al condizionatore d'aria che smette di funzionare e poi funziona troppo, alla porta (sempre a vetri) che va in frantumi e così via. E' tutta una serie di imprevisti che prende sempre più ritmo, una danza degli eventi che peggiora e aumenta di minuto in minuto fino a che una parte del soffitto crolla e allora crolla anche quel mondo asettico, standardizzato e freddo. Si forma, in un angolo del ristorante, un gruppo di ospiti, diversi di loro ubriachi, che fanno festa in modo informale, cantando canzoni popolari, facendo baccano, improvvisando al pianoforte, scherzando e ridendo. E questo calore contagia anche il mondo esterno, con al mattino questo gruppo di persone che va a fare colazione insieme, sempre con lo stesso atteggiamento solare e caloroso. Le strade poi iniziano ad essere popolate anche da auto colorate, che ruotano costantemente intorno alla rotonda come in una sorta di giostra, appaiono festoni colorati agli edifici, anche nei negozi le persone e gli atteggiamenti cambiano. Personalmente la interpreto proprio come netta rottura rispetto alla prima parte, come a voler significare che va bene la tecnologia e che ha senza dubbio vantaggi, ma non dev'essere modificato il nostro modo di vivere, i nostri piccoli gesti, la nostra vitalità, il comunicare e il rapportarsi con gli altri in modo confidenziale e caloroso, popolare...non deve quindi rendere i comportamenti umani freddi, asettici e standardizzati. Che appunto era un po' il concetto anche di Mon Oncle, con il passaggio dal mondo futuristico e tecnologico della famiglia della sorella di Tati, al borgo popolare in cui abitava lui. Playtime è un film più complesso da seguire, meno divertente degli altri, meno fluido nella narrazione...come dicevo, a me ricorda in un certo senso i film/sinfonie sulle città del cinema d'avanguardia. Ma è di una complessità enorme, ha delle gag visive e sonore assolutamente incredibili e geniali, ha tantissimi dettagli e in queste righe ho solo graffiato la superficie. E' veramente un'opera maestosa nel vero senso della parola. Cinematograficamente segue lo stile di Tati, con il sonoro che è protagonista (è uno degli autori che ha proprio rivoluzionato il sonoro); tutta la serie di gag è realizzata con piani lunghi, mai primi piani o piani ravvicinati, gag che nascono, si sviluppano e si compongono all'interno dell'inquadratura, come ad esempio la scena iniziale dove ogni dettaglio e aspetto ci porta a credere che siamo in un ospedale, invece nella scena seguente capiamo di trovarci in un aeroporto. Perciò le sue inquadrature chiedono massima attenzione, per cogliere tutto ciò che si svolge al loro interno. Generalmente, tutti i film di Tati sono assolutamente da vedere...un genio del cinema che si affianca a pieno merito ai migliori autori comici e non solo. La grande illusione (1937) di Jean Renoir. Questo film di certo non ha bisogno di presentazioni o di tanti discorsi, è uno tra i massimi film della storia del cinema. La straordinarietà pazzesca di due capolavori assoluti come questo e La regola del gioco è che sono al tempo stesso semplici e leggeri ma anche complessissimi. In questo Renoir è unico, riesce a fare film strutturati e densi di argomenti complessissimi in modo assolutamente leggero, con una tranquillità e una facilità disarmante. La grande illusione è ambientato durante la prima guerra mondiale e mostra degli ufficiali francesi catturati dai tedeschi e messi nei loro campi di detenzione. In particolare vengono mostrati 2 francesi, uno più anziano ed uno più giovane. I francesi tentano di fuggire dalle varie prigioni, non per sopravvivere, in realtà, perché sono trattati in modo egregio, viene concessa grande libertà e grande rispetto. I due protagonisti vengono spostati da prigione in prigione fino a che non vengono portati nel castello comandato dall'ufficiale tedesco che li aveva catturati. Qui si rinsalda il rispetto che si era creato tra l'ufficiale tedesco (interpretato dal grandissimo Erich Von Stroheim) e il detenuto francese di più alto grado che sfocia quasi in amicizia. Per lunghi tratti è un film che ha toni da commedia, per tutta la prima parte in particolar modo, ma sa essere anche molto amaro. La visione della guerra presente in questo film è disarmante, in tutti i sensi. Appare enorme la differenza tra generazioni, la guerra è stata voluta dalla generazione più vecchia, per porre rimedio ai fallimenti delle loro vite; i più anziani appaiono stanchi, logori, guardano alla morte quasi come sollievo per la loro vita e per i loro fallimenti. I più giovani invece si sono trovati incastrati nella guerra, non l'hanno voluta loro e lottano per la vita, non vogliono morire. Appare inoltre molto più netta la differenza tra persone di classe diversa piuttosto che tra persone di nazione diversa. I due francesi sono di classe diversa, hanno avuto educazioni diverse e sono molto distanti mentre tra l'ufficiale francese e quello tedesco, nonostante siano di nazioni diverse ed in guerra tra loro, si crea un'alchimia molto forte. Mentre invece l'altro francese, con un altro compagno, nella parte finale trova un forte rapporto con una contadina tedesca, che li ospita. Questi momenti, soprattutto il rapporto tra l'ufficiale francese e quello tedesco, sono tra i più belli nella storia del cinema. Ma in generale lo è tutto il film, di una bellezza disarmante. E quello che rimane impresso in modo indelebile appunto, è la facilità e la leggerezza con la quale si svolgono i film di Renoir nonostante i temi trattati. Uno tra i massimi poeti del cinema. Qualche volta ci poniamo la domanda su quali siano i film più importanti o più belli del cinema...pur avendo visto solo due suoi film, io credo che Jean Renoir debba sempre trovar posto. Parigi brucia? (1966) di René Clément, produzione franco-americana. Parla di un reale episodio della seconda guerra mondiale. Hitler nel 1944, ormai a fine guerra, ordinò al governatore nazista di Parigi di radere al suolo la città, visto l'arrivo degli alleati, distruggendola; il governatore, Choltitz, è passato alla storia per aver disobbedito all'ordine. Il film quindi mostra questo episodio, le azioni dei gruppi della resistenza francese che si adoperano per liberare la capitale e l'arrivo dell'esercito alleato. E' indubbiamente tra le produzioni più grandi della storia: la regia è affidata a Clement (che comunque non ha grande libertà, più che altro mette a disposizione la sua capacità di mestiere), la sceneggiatura è stata scritta da Gore Vidal e Francis Ford Coppola, nel cast figurano attori come Kirk Douglas, Alain Delon, Belmondo, Orson Welles (e il bello è che lì per lì non lo avevo riconosciuto e pensavo "In questo ruolo ci vedrei Orson Welles" ), Trintignant ma anche Michel Piccoli, Anthony Perkins, Jean-Pierre Cassel ed altri. Cast mostruoso e la cosa curiosa è che hanno tutti ruoli abbastanza piccoli...è un film corale e quasi tutti compaiono per pochi minuti o addirittura secondi. Ma come spesso accade in questi casi, il film è discutibile. Un'accozzaglia di scene, di azioni, di momenti scritti, realizzati e scelti male...in particolare legati con un pessimo, per me, montaggio. Generalmente è come se non si veda niente, i momenti drammatici vengono rappresentati in maniera insipida, i combattimenti ci sono ma sono caotici, confusionari, mal realizzati e mal montati, nessun personaggio rimane vivido, non c'è nessun tipo di tentativo di riflessione su quello che accade, vengono confusi anche i punti di vista. Se qualcuno era intenzionato a vedere questo film perché incuriosito dai nomi presenti o da altro, glielo sconsiglio Passando a visioni contemporanee, ho visto anche io Un affare di famiglia di Kore'eda. Bel film, ne ha già parlato sufficientemente PerfX. A differenza di Ozu, che indagava con sguardo contemplativo la famiglia, Kore'eda in questo film colpisce direttamente con una visione alternativa della famiglia, va un po' a scuotere i cardini di quella che è un'istituzione sacra; argomento, tra l'altro, che è sempre all'ordine del giorno in ogni decennio ed anche da noi, per esempio. Come detto da PerfX però, lascia in sospeso...lascia al giudizio dello spettatore. Se vogliamo può ricordare Captain Fantastic per certi versi, ovviamente con uno stile, dei toni e fondamenti cinematografici molto lontani...ma in questi film viene posta una visione differente della famiglia da una parte e dell'istruzione/famiglia dall'altra, andando un po' a sconvolgere quelle che sono le canoniche convinzioni. Il film di Kore'eda è realizzato con la classica dolcezza, leggerezza e sensibilità giapponesi. Non mi ha convinto moltissimo il finale, secondo me si trascina un po' troppo con una serie di "falsi finali". A me sarebbe piaciuto maggiormente senza gli ultimi 15-20 minuti, che secondo me tolgono anche un po' di coraggio al film e servono per dare una maggior chiarezza che per me va un po' a rompere la poesia. Complessivamente credevo mi colpisse maggiormente, ma è comunque un gran bel film. Ho iniziato a vedere anche la serie tv Sharp Objects, con Amy Adams. Lo sapete, io le serie tv non le guardo quasi mai, ma queste prime due puntate non mi sono dispiaciute...vedremo come andrà avanti.
  22. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Non sapevo che L'anno scorso a Marienbad fosse stato restaurato da poco. Se va in sala torno a vederlo. Hiroshima mon amour è l'altro capolavoro di Resnais e ho intenzione di recuperarlo così come altri di questo periodo...qualcosa di Rivette, Rohmer, Chabrol e qualcos'altro anche di Godard e Truffaut, Effetto notte l'ho in programma da molto e inserisco anche L'uomo che amava le donne. Pian piano cerco di recuperare un po' tutto, ma non è semplice Truffaut comunque è davvero un autore che mi è entrato nel cuore.
  23. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Ho messo direttamente qui sopra parte della discussione degli ultimi 2-3 giorni, così almeno gli ultimi messaggi del vecchio topic non vengono eliminati
  24. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Riprendiamo qui
  25. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Monica e il desiderio, del 1953. Questo film non lo conoscevo nemmeno, tra l'altro e l'aneddoto l'ho letto proprio oggi. Sembra che questo film alla sua uscita abbia diviso molto la critica, ma che abbia affascinato i critici francesi tra cui proprio Godard e Truffaut che ne sono stati influenzati per alcuni loro film, tra cui proprio la scena finale con lo sguardo del bambino ne I quattrocento colpi che riprende quella del finale del film di Bergman.
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