perfX
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Sottoscrivo pienamente la parte in spoiler. Come devo dire che anch'io mi sarei aspettato di più dal punto di vista visivo. Ok la camera a mano, ma poi le idee mi sono sembrate pochine. Comunque il film per me vorrebbe essere una riflessione su certi pregiudizi e segregazioni di oggi, ma neppure in questo mi pare riuscito. E poi mi sorge una domanda su cosa ci fosse a Cannes perché abbia vinto un premio così prestigioso. Mentre per Dunbo passo, Burton non lo amo neppure nei lavori maggiori quelli così così li lascio tranquillamente passare via. Invece Oro verde non lo conoscevo, ci darò un'occhiata.
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Ho visto anch'io Border un paio di sere fa, e non sapevo come parlarne, ma il tuo commento mi facilita. La sceneggiatura non solo appare abbozzata, per me, ma anche un po' forzata. Nel senso che tutti gli elementi che accadono si vanno ad intrecciare perfettamente causando ognuno il pretesto per l'avvenimento successivo. Messa così potrebbe apparire una critica assurda, nel senso che ogni racconto ha fatti che si susseguono e influiscono tra loro, ma in Border il gioco appare un forzato. Per esempio Io ho fatto un po' fatica a digerire certi passaggi della trama. Ma questo non sarebbe neppure un problema, un film può reggersi su altro; questo ha la sua forza tutta nella particolarità della protagonista ma non mi è sembrato sufficiente. Resta comunque un film che si discosta dalla banalità e prova ad avere un'aura autoriale.
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Border l'ho messo in lista anche io.
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Mi dispiace sia un po' dimenticato questo posto, cerco un filo di rimediare. Il primo re. L'ho recuperato. Di buono, e non è poco, c'è da dire che non è uno di quei filmetti italiani tutti uguali, anzi si distingue chiaramente. Come buonissimo è il lavoro di fotografia di Ciprì. Quello che ho trovato debole è stata la scrittura del film: con scene che prese singolarmente funzionerebbero anche, ma che non risultano ben legate da una trama convincente. Cioè, i vari passaggi da una situazione all'altra appaiono un po' forzati, con un parte centrale non sempre capace di mantenere la presa sullo spettatore. Altro punto critico è l'eccessiva stereotipizzazione dei personaggi secondari e dell'esposizione delle ferite nelle numerose lotte che risultano un poco macchiettistiche. Sicuramente efficace la scelta del latino. The guilty (Il colpevole), di Gustav Moller, 2018. Uscito quasi nel silenzio è un film danese che porta a casa il risultato senza affanni. La storia si svolge interamente nel centralino di una stazione di polizia dove un agente, che scopriremo essere messo lì dopo un "incidente" in servizio in strada, riceve tra le molte telefonate d'aiuto una più particolare delle altre. Non svelo di più, dico solo che il film non è per nulla pretenzioso e questo gli permette di non annoiare mai nella sua giusta durata, meno dei classici 90'. D'altra parte, però, non regala mai la svolta o la trovata che lo rendano indimenticabile o particolare rispetto ad altri lavori simili.
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Non ne ho a male proprio per nulla, anzi trovo sempre piacevole il fatto di confrontarsi. Sopratutto con chi ha idee differenti. Comunque la Mancuso è tappa fissa ogni settimana, dice le cose in faccia; e ha un'idea precisa di cinema che la si condivida o meno dà in ogni caso un punto di riferimento con cui confrontarsi. Che è quello che un po' scrivevo anche sopra.
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Oxilia è un grandissimo del cinema italiano. Mi fa felice che venga conosciuto. Recupera, hai di che perderti nel suo cinema.
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Stima immeritata, e non sono così esperto, anzi. In realtà sono io che ho una particolare stima per quello che ti conosco qui sul forum. Capisco anche la tua opinione sul regista, non penso serva neppure argomentare oltre perché lo conosci ed anch'io ho i miei registi no. Poi nel caso in questione ce sarebbero a iosa di motivi per non sopportarlo. Mi incuriosirebbe solo sapere quali film ti hanno fatto lasciare la sala.
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La casa di Jack Il film più che una storia è una sorta di autoanalisi del regista, è un film totalmente autoreferenziale che nasce dall'esigenza di riflettere sulle proprie manie e sul modo in cui von Trier le ha affrontate. D'altronde l'ha detto lui stesso che il protagonista è il proprio alter ego, e quello che nel film lui sublima nell'efferatezza von Trier lo sublima nel cinema. Così abbiamo il primo significato della violenza nel film: questa è una metafora della propria arte, e il fatto che l'arte trovi metafora in una tale serie di delitti è significativo del rapporto che si ha con questa. Il secondo significato della violenza è invece una particolare concezione che von Trier ha della perversione, dalla brutalità e della putrefazione: ovvero queste sono forme d'arte al pari di una cattedrale: il medesimo valore ha l'ideazione di un dipinto perfetto e l'ideazione di un metodo di sterminio di massa. Non è una mia iperbole, per quanto discutibile è la sua idea. La muffa nobile. Ora del film si è molto detto della sua brutalità, e anche se ho potuto vedere solo la versione ridotta, perché l'altra non si trova, debbo dire che non c'è nulla di nuovo per chi abbia una minima dimestichezza con lo splatter o con Lars, e si può intuire che per quanto possano aver tagliato non si sarebbe andato in chissà quali vette. Forse è anche un modo furbo per venderlo, non so. In ogni caso la brutalità del film è data dalla perversione psicologica, e straordinario è il modo in cui da forma al disturbo ossessivo compulsivo. In questa catabasi psichica, o psicologica, paradossalmente il capitolo più debole è proprio quello denominato catabasi, in cui von Trier forse si concede troppa cgi e lo sviluppo appare meno efficace. In ogni caso, l'aspetto forse più alto del film, assieme alle considerazioni sull'arte di von Trier che per quanto respingenti sono indubbiamente affascinanti, è la forma del film. Il film ha sì una parte classica, da cinema narrativo, ma è spesso inframmezzata da sequenze di immagini e video terzi che possono appartenere alla pittura, al frammenti di video, film etc. E questo è forse l'esempio del genio di von Trier che nel succedersi dei decenni è riuscito ad intuire quale sia la forma cinematografica propria di un determinato periodo, non dico che inventi un'estetica ma che intuisca quale sia l'estetica del periodo e la riesca a portare nel cinema. Così negli '80 recepisce quell'immaginario punk e dalle forme degradanti, così con Dogma intuisce quale sia la potenzialità della videocamera a basso costo, ed oggi che abbiamo immagini e video che ci vengono somministrati in ogni dove senza neppure una separazione tra loro, che quasi si sovrappongono, ecco che il regista danese le riesce ad utilizzare come materiale cinematografico, ed uso materiale non a caso considerando il film dove si parla anche del valore di questo. Quindi La casa di Jack, titolo che in italiano non vuol dire nulla, in realtà nell'originale è una citazione di una filastrocca omonima simile a Alla fiera dell'est già sentita nell'Elemento del crimine, è uno straordinario esempio, direi riuscito e non semplice esercizio, di quale possa essere la forma di un cinema contemporaneo alla nostra epoca, o una delle forme. Indubbiamente lo voglio rivedere, magari anche in v.o., perché ricchissimo di aspetti da cogliere o su cui riflettere.
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Il cielo sopra Berlino. Brevemente, ma ci sarebbe moltissimo da dire. Una mancanza gravissima che mi pento di aver colmato così tardi. Il film di Wenders è qualcosa di veramente prezioso: c'è quest'uso della cinepresa che vuole imitare il volo degli angeli e la loro rapidità che è qualcosa di magico. E poi il sapiente missaggio di bianconero e colore. Wenders ci parla dell'infanzia del mondo, un'età di pace e vita piena per l'uomo, che è andata ormai perduta in una società di uomini che non sanno guardare oltre l'apparenza, ciò che è realmente vero. Un angelo è in particolare colui che seguiamo per scoprire questo mondo fatto di persone spesso affannate ma anche da esempi di uomini, o sopratutto bambini, che non sono ancora piegati dal falso. Il film ha inoltre delle importanti sequenze musicali, con Nick Cave che non solo presta la sua voce ma compare in lunghe scene in cui interpreta se stesso in concerto. Ma ancor più belle sono le sequenze aree di una ragazza, una circense, che inscenando un angelo compie i suoi numeri al trapezio in un leggero volo che sfida la gravità. Ed è la gravità, il senso del limite e tutto ciò che di bello contiene la vita che il nostro angelo vuole conoscere e finalmente vivere, dopo un'eternità passata a guardare cercando di consolare l'animo di chi è solo. Il nostro angelo vuole conoscere questa ragazza bellissima che gli dà finalmente la prova che esista ancora quell'infanzia del mondo ormai data per persa. Il seguito del film, Così lontano così vicino, riprende la stessa storia a poca distanza di tempo. Riprende anche gli stessi stilemi di regia e missaggio di bianconero e colore, anche se qui predomina il secondo invece che il primo. E purtroppo si potrebbe anche aggiungere, non perché io apprezzi il bianconero - non solo per questioni di tifo - ma bisogna dire che del film le parti che meritano sono soltanto quelle. Le parti a colori, che sono in teoria quelle dove il punto di vista nasce dal mondo caduto, il nostro, e non dal punto di vista di un angelo, sono incredibilmente distanti dalle atmosfere del primo film. In questo secondo tempo a rovinare il film non è nient'altro che la trama, cioè la necessità di voler dare al film una dimensione narrativa sullo stile di un film di svago, disimpegnato. Così ci troviamo con pagine di pregevole riflessione che non stonano minimamente con la prima parte, e il grosso del film che prende via via sempre più le fattezze di un thrilleraccio del peggior Eastwood, del film di genere anni '80. Un vero peccato. Sicuramente influenzato da Wenders e da Il cielo sopra Berlino, forse anche volutamente omaggiato in un paio di scene ma non ne ho la certezza, è Simon magus, un film del 1999 di Ildiko Enyedi - la regista di Corpo e anima di cui troppo spesso parlo. Si capiscono in questo film quali siano i temi ricorrenti nella filmografia della regista: la presenza del mistero e del magico che entrano nella vita comune influenzandola, la difficoltà nel comunicare col proprio amato o amata. Per il resto il film si lascia guardare più che bene, anche se manca di vette e certamente sfigura rispetto all'altro film. Ultimo film, anche se di molti altri non scrivo e un po' mi spiace, è Cameriera bella presenza offresi..., di Giorgio Pastina, 1951. Il titolo potrebbe far pensare a un porno anni '70, invece si tratta di una commedia che fa il suo sporco lavoro. Impressiona leggere la schiera di sceneggiatori che collaborano: Pinelli, Age, Scarpelli, Fellini... Il film è in pratica composto da tre episodi e una trama che li lega. Cioè la protagonista è una ragazza che presta lavoro come cameriera, cambiando datore di lavoro cambia anche l'episodio e a legare il tutto è il tira e molla tra lei il fidanzato che promette sempre di sposarla e poi sempre rinvia. Il primo episodio, dove lei lavora per un regista teatrale, è il più riuscito; mentre il secondo ambientato in un caldo appartamento romano con un Aldo Fabrizi esposto in tutta la imponente fisicità è il più divertente; debole il terzo e la trama che fa da pretesto. In ogni caso per una piacevole commedia italiana si consideri anche questo titolo.
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Giustamente citi Bresson, come ispiratore di Schrader. Per lui è uno degli autori più importanti e che più l'hanno influenzato, infatti lo stesso Taxi driver che poi citi è ispirato sia per l'evoluzione del protagonista, sia per il modo di narrare, cioè con la voce narrante del personaggio protagonista, da Bresson, in particolare dal film Diario di un ladro.
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Vero, m'ero dimenticato.
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Non ne sarei così certo. Lazzaro felice qualcosa si porterà a casa e anche Sulla mia pelle difficilmente resterà a bocca asciutta.
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Sono state annunciate le cinquine per i David di Donatello. Premessa: si premiano i film usciti in Italia nel 2018. Vorrei sottolineare un'assenza.Tra i film stranieri, e ce ne sarebbero davvero tanti belli, mi spiace non trovarci Corpo e anima di Enyedi. Ma stupisce ancor di più, visti anche i i tanti che potevano figurare e non ci sono - Isle of dog, Un affare di famiglia...-, la presenza di Bohemian Rhapsody fra i cinque candidati.
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La favorita. Efficacemente ruffiano. Nell'accezione migliore. Il film è scritto a favore del pubblico, affinché possa godersi il film e questo non è poco. Nel film c'è tutta questa splendida costruzione, quasi esasperata, di situazioni quasi grottesche; di personaggi di corte, parlamentari, nobili e regine che assomigliano più ad adolescenti in crisi ormonale o bambini capricciosi che ad adulti di rango. E questi trovano il loro corrispettivo formale nei grandangoli, spesso eseguiti con rapidi movimenti, che creano quasi anamorfosi come se si fosse in una tela di quel periodo storico. Questa caratterizzazione e tono della pellicola può esser frutto di quella che forse può apparire quasi una facile moda post-modernista, ma in realtà è pure propria di quel tempo la grande ironia, anche salace, di Swift, citato nel film, o di Pope. Si potrebbe criticare l'eccesso di anacronismi ma vorrebbe dire dimenticarsi che con gli anacronismi ci giocava spesso Pasolini; ma forse quello che più viene in mente vedendo la particolare voglia di schernire - anche per avvicinarla a noi - un'aristocrazia tanto ricca negli abiti come nei vizi è Greenaway. Gli esempi si sprecherebbero. Così il castello dove è ambientato il film appare quasi una casa delle bambole dove far divertire questi bambinelli anche cattivi, perché in fondo tutti vogliono vincere e tenere il giocattolo per sé. Forse risulta meno riuscito lo sviluppo della trama, con i vari intrighi di corte, di cui forse ne abbiamo anche seguiti fin troppi negli anni. E non è neanche importante per il film. Quello che invece conta è come il film, con il suo ritmo sempre sostenuto, è talmente ben congegnato nella sua ironia, anche venata di grottesco, che il cambio di tono finale è difficilmente accolto dallo spettatore che giustamente ne rimane estraniato, confuso e quasi inquietato. Pregevole la colonna sonora. Non è il "mio" film, ma dopo il detestevole The Lobster Lanthimos si riscatta indubbiamente, anche per merito degli sceneggiatori che non mi stupirei di vederli sorridere agli Academy.
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Mi ricordo che ne parlasti bene di Tramonto, e proprio per questo avevo anche delle aspettative non indifferenti. Però se il discorso che fai sul senso di angoscia, caos, caduta etc. lo capisco e lo posso ricostruire intellettualmente ripensando al film, durante la visione non l'ho vissuto, anzi, come scrivevo prima per me ha pure difetti non piccoli, primi fra tutti i dialoghi. Tra l'altro in questo periodo sto recuperando Bresson. Averne il tempo di lasciarne due righe, sono arrivato a Diario di un ladro.