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FRANCESCO SPIRITO

[Video] Ungheria-Inghilterra, la partita che ha segnato la storia del football. Giocata a ritmi altissimi

Post in rilievo

Bisogna contestualizzare il calcio.

Di sicuro per gli anni che furono fu una grande gara, ma vedere il filmato ora e osservare un calciatore dell'Inghilterra che in 5 secondi sbaglia lo stop sulla trequarti avversaria ma ha la possibilità di girarsi e continuare l'azione, be nel nostro concetto di calcio recente non la vedremmo affatto una cosa del genere.

Non voglio assolutamente sminuire il calcio di tanti anni fa, meno comodità, meno metodologie, ma il ritmo altissimo di cui parli rimane rapportato in quel contesto dove il pressing era praticamente inesistente.

Comunque è sempre un piacere guardare filmati vecchi :)

 

La preparazione atletica, le cure e la scienza dell'alimentazione hanno fatto una grande differenza.

Guardate le vecchie foto di Alfredo Di Stefano, considerato uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi: con quel fisico oggi non potrebbe giocare neppure nei campionati amatoriali.

Per questo i paragoni tra epoche diverse sono impossibili: bisognerebbe vedere i campioni di allora allenati con i metodi di oggi. O viceversa.

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La preparazione atletica, le cure e la scienza dell'alimentazione hanno fatto una grande differenza.

Guardate le vecchie foto di Alfredo Di Stefano, considerato uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi: con quel fisico oggi non potrebbe giocare neppure nei campionati amatoriali.

Per questo i paragoni tra epoche diverse sono impossibili: bisognerebbe vedere i campioni di allora allenati con i metodi di oggi. O viceversa.

 

D'accordissimo con te.

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Assieme all' olanda del 74 quell'Ungheria e' forse la squadra più forte del secolo scorso. Senza dimenticare il Brasile del 58 che credo non fosse male

 

Anche il Brasile del 70 amico mio ;)

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Erano due grandi nazionali con l'Ungheria che giocava in certi momenti della partita avanzando e concludendo alla brasiliana; perché giocavano veloci non é stato detto, cerco di evidenziarlo io dopo aver visto più di metà della partita trovandone le ragioni nel fatto che la palla veniva passata sempre in avanti di prima o al massimo uno o due tocchi MAI all'indietro o in orizzontale, insomma il giro palla come avviene adesso non era stato ancora concepito a rallentamento del gioco primo; secondo se notate i falli quasi non esistono e mi riferisco sia a quelli tattici frutto del calcio moderno ma neanche quelli di gioco né intenzionali né cattivi per cui l'arbitro non doveva intervenire più di tanto, non come i loro colleghi di adesso che hanno sempre il fischietto in bocca per farlo squillare in continuazione spezzettando il gioco; per non parlare del fuorigioco sistematico introdotto dalla zona e sue applicazioni tattiche, disastroso per i tanti gol evitabili causati; anche la marcatura a uomo tanto evocata perché l'avversario veniva seguito fin dentro lo spogliatoio o gli si mordeva le calcagna, non mi sembra così stretta, asfissiante come molti paventano sostenendo la zona corrente.

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Però, mi pare di vedere come gli Ungheresi spesso recuperassero palla sulla loro trequarti offensiva.

 

Ed i portatori di palla, in particolare sulle fasce, vengono rincorsi dagli avversari.

 

Dire che il concetto di pressing (magari non evoluto come oggi) fosse totalmente assente, non mi pare sia proprio vero.

 

 

Sì, hai ragione è abbastanza veloce, molto di più delle partite del mondiale 70 ad esempio… ma forse in messico c'era il problema dell'altitudine.

Cmq c'è anche un piccolo effetto ottico perché spesso l'immagine è molto stretta e la macchina da presa si muove tanto avanti e indietro, quindi ti dà la sensazione di un movimento frenetico... anche se obiettivamente giocano tanto in verticale… Bel video!

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comunque è un mistero come una scuola come quella ungherese per nei primi 50 anni di calcio aveva sforanto una marea di fuoriclasse sia praticamente sparita dal calcio mondiale.

 

Mistero soprattutto perché è sparita già negli anni 60. immagino che alcuni, come Puskas, abbiano preferito emigrare dopo l'intervento sovietico del 56.

Però il blocco comunista curava lo sport quindi in teoria una buona scuola avrebbe dovuto continuare a prosperare… Una ragione dovrà pur esserci, perché tra essere i migliori a scomparire così di colpo… in effetti è strano.

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Però, mi pare di vedere come gli Ungheresi spesso recuperassero palla sulla loro trequarti offensiva.

 

Ed i portatori di palla, in particolare sulle fasce, vengono rincorsi dagli avversari.

 

Dire che il concetto di pressing (magari non evoluto come oggi) fosse totalmente assente, non mi pare sia proprio vero.

 

--------------

 

Curiosità: spero che il video parta dall'inizio (io lo vedo da fine partita, forse perché rimane salvato sino a dove ho visto la partita...).

 

É una delle prime volte (ma é sicuramente la piú famosa tra quelle) in cui il centravanti si é mosso da "falso nueve"; quando Hidegkúti arretrava il suo raggio d'azione, gli inglesi proprio non sapevano che fare (a detta di loro)! Bei tempi per il calcio ungherese.

 

Gusztav Sebes, l'allenatore della grande squadra che fu l'Ungheria di quegli anni (soprannominata Aranycsapat, ossia "squadra d'oro"), aveva mutuato alcuni schemi dal basket, dalla pallamano e da altri sport indoor, fra i quali il pressing alto e l'arretramento del pivot.

Quest'ultimo schema, il centravanti arretrato o anche falso nueve di oggi, si utilizzava già nel calcio d'anteguerra (l'austriaco Matias Sindelar, per fare un esempio. Da noi qualche volta lo faceva anche Meazza), ma non in maniera sistematica, e soprattutto si usava per fare spazio alle ali e non per gli inserimenti centrali delle mezzali: Sebes trasformò le sue mezzali in prima (Kocsis) e seconda (Puskas) punta. Era, in pratica, l'invenzione del trequartista dietro le due punte, una cosa mai vista prima di allora su un campo di calcio. Ne beneficiò soltanto Bobby Charlton, che fu grande interprete del ruolo con lo United e nella nazionale inglese (nel suo unico e discusso mondiale vinto). Successivamente l'esperimento non diede altri frutti fino alla fine degli anni 70, quando attorno all'estro di Zico, Platini e Maradona si poterono costruire schemi analoghi.

Per quanto riguarda il pressing alto, l'Ungheria era in quegli anni l'unica scuola calcistica europea che poteva contare su calciatori tecnicamente molto ben impostati ma contemporaneamente rapidi e resistenti nella corsa. Un po' come avere una squadra fatta di tanti piccoli Edgar Davids. Anche questo era una rivoluzione per gli standard dell'epoca, fatti di profonda distinzione fra i talenti (che non dovevano stancarsi) e i gregari (che non erano capaci di far altro che correre).

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Gusztav Sebes, l'allenatore della grande squadra che fu l'Ungheria di quegli anni (soprannominata Aranycsapat, ossia "squadra d'oro"), aveva mutuato alcuni schemi dal basket, dalla pallamano e da altri sport indoor, fra i quali il pressing alto e l'arretramento del pivot.

Quest'ultimo schema, il centravanti arretrato o anche falso nueve di oggi, si utilizzava già nel calcio d'anteguerra (l'austriaco Matias Sindelar, per fare un esempio. Da noi qualche volta lo faceva anche Meazza), ma non in maniera sistematica, e soprattutto si usava per fare spazio alle ali e non per gli inserimenti centrali delle mezzali: Sebes trasformò le sue mezzali in prima (Kocsis) e seconda (Puskas) punta. Era, in pratica, l'invenzione del trequartista dietro le due punte, una cosa mai vista prima di allora su un campo di calcio. Ne beneficiò soltanto Bobby Charlton, che fu grande interprete del ruolo con lo United e nella nazionale inglese (nel suo unico e discusso mondiale vinto). Successivamente l'esperimento non diede altri frutti fino alla fine degli anni 70, quando attorno all'estro di Zico, Platini e Maradona si poterono costruire schemi analoghi.

Per quanto riguarda il pressing alto, l'Ungheria era in quegli anni l'unica scuola calcistica europea che poteva contare su calciatori tecnicamente molto ben impostati ma contemporaneamente rapidi e resistenti nella corsa. Un po' come avere una squadra fatta di tanti piccoli Edgar Davids. Anche questo era una rivoluzione per gli standard dell'epoca, fatti di profonda distinzione fra i talenti (che non dovevano stancarsi) e i gregari (che non erano capaci di far altro che correre).

 

Complimenti, tu sí che sei informatissimo! :)

Per me é d'obbligo (sono ungherese), ma pensavo ci fossero pochissimi a saper queste aneddote! Bravo!

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Complimenti, tu sí che sei informatissimo! :)

Per me é d'obbligo (sono ungherese), ma pensavo ci fossero pochissimi a saper queste aneddote! Bravo!

 

Grazie! Effettivamente la storia e la sociologia del calcio e dello sport in generale sono la mia grande passione. E sulla grande Ungheria ci sarebbe moltissimo da scrivere...

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Gusztav Sebes, l'allenatore della grande squadra che fu l'Ungheria di quegli anni (soprannominata Aranycsapat, ossia "squadra d'oro"), aveva mutuato alcuni schemi dal basket, dalla pallamano e da altri sport indoor, fra i quali il pressing alto e l'arretramento del pivot.

Quest'ultimo schema, il centravanti arretrato o anche falso nueve di oggi, si utilizzava già nel calcio d'anteguerra (l'austriaco Matias Sindelar, per fare un esempio. Da noi qualche volta lo faceva anche Meazza), ma non in maniera sistematica, e soprattutto si usava per fare spazio alle ali e non per gli inserimenti centrali delle mezzali: Sebes trasformò le sue mezzali in prima (Kocsis) e seconda (Puskas) punta. Era, in pratica, l'invenzione del trequartista dietro le due punte, una cosa mai vista prima di allora su un campo di calcio. Ne beneficiò soltanto Bobby Charlton, che fu grande interprete del ruolo con lo United e nella nazionale inglese (nel suo unico e discusso mondiale vinto). Successivamente l'esperimento non diede altri frutti fino alla fine degli anni 70, quando attorno all'estro di Zico, Platini e Maradona si poterono costruire schemi analoghi.

Per quanto riguarda il pressing alto, l'Ungheria era in quegli anni l'unica scuola calcistica europea che poteva contare su calciatori tecnicamente molto ben impostati ma contemporaneamente rapidi e resistenti nella corsa. Un po' come avere una squadra fatta di tanti piccoli Edgar Davids. Anche questo era una rivoluzione per gli standard dell'epoca, fatti di profonda distinzione fra i talenti (che non dovevano stancarsi) e i gregari (che non erano capaci di far altro che correre).

Molto di quello che dici è vero, ma sull'assenza del trequartista negli anni Settanta non sono d'accordo. Rivera (lui però era un centrocampista, non una punta arretrata) era un trequartista di livello eccelso e nel 1970 il Brasile vinse in Messico giocando contemporaneamente con almeno tre giocatori che potevano benissimo essere considerati dei numeri 10. Penso a Rivelino, Pelé e Jairzinho.

 

Il secondo tempo di Brasile-Uruguay (semifinale di Messico 1970) è quasi un testamento a quello che affermo: Pelé nella ripresa si abbassò 20-30 metri indietro e iniziò ad insegnare calcio, giocando da trequartista di classe pura.

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Molto di quello che dici è vero, ma sull'assenza del trequartista negli anni Settanta non sono d'accordo. Rivera (lui però era un centrocampista, non una punta arretrata) era un trequartista di livello eccelso e nel 1970 il Brasile vinse in Messico giocando contemporaneamente con almeno tre giocatori che potevano benissimo essere considerati dei numeri 10. Penso a Rivelino, Pelé e Jairzinho.

 

Il secondo tempo di Brasile-Uruguay (semifinale di Messico 1970) è quasi un testamento a quello che affermo: Pelé nella ripresa si abbassò 20-30 metri indietro e iniziò ad insegnare calcio, giocando da trequartista di classe pura.

 

Sì,è vero, Rivera ha spesso giocato vicino alle punte, così come il Brasile del 70 giocava con cinque numeri 10. Ma erano moduli diversi: il Milan di Rivera di solito giocava con due ali pure e un centravanti (per esempio nel 1967/68 vinse campionato e Coppa delle Coppe e l'anno dopo la Coppa dei Campioni giocando con Hamrin ala destra, Sormani centravanti e Prati ala sinistra; Prati si accentrava spesso e diventava quasi una seconda punta), mentre il Brasile faceva una specie di 4-1-4-1, con Tostao che faceva la boa davanti e tutti gli altri che si inserivano a turno.

L'Ungheria di Sebes invece è stata la prima e la sola (fatta eccezione per l'Inghilterra dei mondiali 66) per moltissimi anni a utilizzare un vero attaccante dotato di tecnica e visione di gioco in una zona intermedia fra il centrocampo e l'attacco (in modo simile ai centravanti arretrati tipici degli anni 30 come Sindelar e talvolta Meazza) ma con due attaccanti centrali anziché il classico tridente ala destra-centravanti-ala sinistra. Si tratta di una differenza tattica molto importante.

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In questa partita si può dire che sia nato il calcio moderno: uno-due, scambi in velocità, attacco degli spazi, veli per favorire il compagno meglio posizionato, punte che arretravano per costruire gioco. Puskas, poi, fa una partita incredibile.

 

A Wembley c'era anche Vittorio Pozzo, che ne scrisse per «La Stampa» in toni giustamente entusiastici. Si è subito avuta la sensazione di una partita storica, che avrebbe segnato per sempre il calcio.

 

Qui, la trascrizione del suo articolo.

 

Clamorosa vittoria della squadra magiara contro i calciatori inglesi a Londra: 6 a 3. Dopo mezzo secolo di imbattibilità sul loro campo, i maestri del gioco hanno dovuto abbassare bandiera - La partita-capolavoro della nazionale ungherese - Il primo tempo è terminato col risultato di 4 a 2 - Al crollo della più famosa squadra del mondo hanno assistito oltre 100 mila persone.

 

(Dal nostro inviato speciale) Londra, 25 novembre. Gli appassionati di quel gran gioco che è il calcio, gli sportivi tutti possono prendere nota della data del 25 novembre 1953, debbono sottolinearla, hanno il dovere di non dimenticarla. Anche se, per loro disavventura, non sono stati presenti allo stadio di Wembley. Si tratta di una fiata che è destinata a fare epoca nello sport della palla rotonda. I maestri, gli inventori del moderno gioco del calcio, sono caduti, dopo mezzo secolo, per mano di uno dei loro allievi, di quello fra essi che è il più evoluto del momento. Sono caduti in modo che non ammette discussioni, in modo anzi che più convincente di così non potrebbe essere. Sono stati battuti nel risultato e nel gioco, nel secondo più ancora che nel primo. Sono stati battuti in velocità, in resistenza fisica, in tecnica, in tattica, colla palla a terra e colla palla in aria, in senso di smarcamento, in arte di tiro, in lavoro costruttivo, in lavoro difensivo, anche in classe dei singoli uomini: in tutto, insomma. L'ambiente e il riguardo verso chi aveva offerto ospitalità non permettevano esplosioni di gioia rumorose o clamorose, ma certi sorrisi e le strette di mano innumerevoli, dicevano tutto. L'Ungheria, riuscendo dove avevano fallito una decina e mezzo di altre nazioni, aveva giocato per il continente; lo aveva quasi vendicato, diremmo, se non temessimo di esagerare. Non era la gioia per la disgrazia altrui, era la soddisfazione per il raggiungimento di un traguardo a cui tutti assieme da tanto tempo si aspirava. La squadra nazionale inglese non ha ceduto senza opporre resistenza. Ha combattuto secondo la sua tradizione. Ma, malgrado tutto, l'evento ha avuto svolgimento normale e regolare. Si è capito subito quale era la squadra migliore, si è visto immediatamente da quale parte stava l'efficienza, si è intuito fin dalle prime battute, senza possibilità di errori, a chi sarebbe spettata la vittoria finale. La resistenza dell'Inghilterra non ha fatto che gettare un gran fascio di luce sulle virtù dell'Ungheria. A tracciare in stile tennistico la strada che ha percorso il risultato per giungere dove è giunto bisogna ricostruire nel seguente modo le vicissitudini della gara: 1-0 per l'Ungheria, poi 1-1; 2-1; 3-1; 4-1; 4-2 a metà tempo; quindi 5-2; 6-2; 6-3 per un rigore. Finale che taglia la testa al toro, finale davanti al quale non c'è che da inchinarsi. Brano presenti più di cento mila persone, di cui più di 98 mila paganti. C'era sole, non nebbia, e la visibilità era buona e il campo ottimo. Come per dichiarare perentoriamente e immediatamente quali fossero le sue intenzioni, l'Ungheria ha segnato subito, fin dal primo minuto. Un'avanzata sulla sinistra, una breve schermaglia quasi sul limite centrale dell'area di rigore inglese, e di colpo il centravanti Hidegkuti rompeva gl'indugi tagliava corto e sparava. Il tiro era un capolavoro di precisione. Alto, preciso, forte, leggermente tagliato, puntava diritto verso il lontano angolo della rete sulla destra del portiere e quell'angolo infilava inesorabilmente. La facilità del tiro è stata impressionante. E subito, a conferma che non si tratta di cosa casuale, la mezz'ala destra Kocsìs, quello che passava per gravemente invalido, manca per pochi centimetri una splendida occasione e Hidegkuti segna e l'arbitro annulla per fuori gioco. Allora l'Inghilterra, come se avesse capito con chi ha da fare, come se avesse compreso quale è la musica che si suona nella giornata, si risveglia, prende a lottare, cerca di portare il combattimento sul piano della robustezza fisica e dà per qualche poco l'impressione di poter ristabilire l'equilibrio della situazione. Riesce a colmare lo svantaggio del punteggio e nulla più. Al 16', Mortensen lancia Sewell con un bel passaggio in profondità, la mezz'ala sinistra avanza, tira in corsa e spedisce nell'angolo basso della rete sulla sinistra del portiere. Non passano cinque minuti che i magiari vanno nuovamente In vantaggio. Su una nuova avanzata del settore sinistro del loro attacco, sono due gli avanti che piombano decisamente e contemporaneamente sulla palla per ricevere 11 centro. Kocsis precede il compagno suo di una frazione di secondo e segna da pochi passi. Cinque minuti più tardi Puskas avanza sulla destra punta diritto davanti a sé, sfonda tutto, arriva a due passi dal portiere, finge di tirare di destro, gira invece su se stesso e infila di sinistro, 3-1. Passano altri tre minuti scarsi e l'Ungheria beneficia di un calcio di punizione poco fuori dell'area di rigore inglese. Tira Kocsis, la palla colpisce involontariamente il piede di Puskas e devia imparabilmente in rete. Qui, in questo ultimo episodio cioè, la fortuna ci ha messo lo zampino e ha dato agli ospiti un aiuto di cui essi dimostrano di non avere affatto bisogno. Si profila una catastrofe dei padroni di casa. Il pubblico è piombato nel silenzio assoluto. Il linguaggio dei fatti ha parlato a questa folla d'intenditori in modo così chiaro e convincente da farla ammutolire. Accenna appena, questo pubblico, a un movimento di risveglio, quando, a cinque minuti dal riposo di metà tempo, Mortensen, approfittando di uno scivolone casuale di Buzanski, riesce a diminuire la distanza: 4-2 all'intervallo. E' l’atteso evento che sta per verificarsi. I centomila presenti lo hanno capito. Si passa al secondo tempo e si ha subito la conferma che l’evento stesso può considerarsi come già giunto alla scadenza. All’80 minuto un energico attacco ungherese ingenera un attimo di confusione nell'area di rigore inglese. Mentre quattro o cinque uomini si guardano attorno alla ricerca della palla che pare scomparsa, questa rimbalza fuori area, capita nei piedi dell'accorrente Bozsik; questi ferma, prende la mira e spedisce nell'angolo lontano. Come nel tiro a segno. E Budai II completa l'opera quattro minuti più tardi. Il lavoro e l'intelligenza dell'azione che porta a questo conclusivo successo dei magiari sono tutti di Puskas: l'ala destra non ha che da intervenire in corsa, colpire al volo e segnare. Il gioco è fatto. Non lo varia il punto che il terzino Ramsey ottiene su calcio di rigore al quarto d'ora, quando il portiere ungherese, gettatosi in tuffo, trattiene per le gambe l'ala sinistra Robb. L'ultima mezz'ora più non avrà storia. Dal 6 a 3 non ci si muoverà. E particolari di nessuna importanza paiono il cambio del portiere che 1 magiari effettuano a dieci minuti dal termine, sostituendo Grosics con Gelici-, e la magnifica parata che Merrick eseguisce su uno splendido tiro di Hidegkuti. L'importante è che quello che doveva avvenire è avvenuto. L'emozione è giustificata. Il crollo è stato impressionante. La narrazione indispensabile di quegli episodi capitali che sono i punti segnati — la bellezza di nove in totale, su 90 minuti di gioco — toglie per questa sera e spazio e tempo a considerazioni di carattere tecnico e generico. La squadra nazionale ungherese, quella stessa che ci aveva inflitto la lezione di Roma verso il termine della stagione scorsa, ha compiuto il suo capolavoro con una partita che non verrà dimenticata da coloro che hanno avuto la fortuna di assistervi. Quel complesso di uomini che da quattro anni gira i campi d'Europa nella stessa formazione, che gioca ad occhi chiusi, che funziona come una macchina ben congegnata e ben oleata, non poteva ottenere premio migliore e più risonante per le sue prodezze. Filosoficamente, diplomaticamente, gl'inglesi hanno accettato la sconfitta. Il che non vuol dire che la digeriscano con facilità. L'avvenimento avrà come conseguenza una piccola rivoluzione nel mondo tecnico del calcio britannico. E' cosa facile da prevedere per chi ha visto gli umori dei presenti. Ha fatto aprire gli occhi. I maestri avevano da tempo dimenticato gli insegnamenti che essi avevano impartito ai loro allievi. Questi hanno rinfrescato loro la memoria. « Ne avevamo bisogno », ha detto un tecnico dalla mente aperta come Wittaker, il direttore dell'Arsenal di Londra, scuotendo il capo che ha visto tante tempeste. Dopo mezzo secolo, è caduto il gigante, è crollato il primato più famoso del mondo. Tributiamo i dovuti onori a chi ha vinto; mettiamoci, da buoni sportivi, sull'attenti di fronte a chi è caduto. Vittorio Pozzo INGHILTERRA: Merrick; Ramsey, Eckersley; Wright, Johnson, Dickinson ; Matthews, Taylor, Mortensen, Sewell, Robb, UNGHERIA: Grosics: Buzanszki, Lantos; Bozsik, Lorant, Zakarias; Budai, Kocsis, Hidegkuti, Puskas, Csibor. Arbitro: Horn (Olanda). - Segnalinee: Schipper (Olanda) e Broukhorat.

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In questa partita si può dire che sia nato il calcio moderno: uno-due, scambi in velocità, attacco degli spazi, veli per favorire il compagno meglio posizionato, punte che arretravano per costruire gioco. Puskas, poi, fa una partita incredibile.

 

A Wembley c'era anche Vittorio Pozzo, che ne scrisse per «La Stampa» in toni giustamente entusiastici. Si è subito avuta la sensazione di una partita storica, che avrebbe segnato per sempre il calcio.

 

Qui, la trascrizione del suo articolo.

 

Clamorosa vittoria della squadra magiara contro i calciatori inglesi a Londra: 6 a 3. Dopo mezzo secolo di imbattibilità sul loro campo, i maestri del gioco hanno dovuto abbassare bandiera - La partita-capolavoro della nazionale ungherese - Il primo tempo è terminato col risultato di 4 a 2 - Al crollo della più famosa squadra del mondo hanno assistito oltre 100 mila persone.

 

(Dal nostro inviato speciale) Londra, 25 novembre. Gli appassionati di quel gran gioco che è il calcio, gli sportivi tutti possono prendere nota della data del 25 novembre 1953, debbono sottolinearla, hanno il dovere di non dimenticarla. Anche se, per loro disavventura, non sono stati presenti allo stadio di Wembley. Si tratta di una fiata che è destinata a fare epoca nello sport della palla rotonda. I maestri, gli inventori del moderno gioco del calcio, sono caduti, dopo mezzo secolo, per mano di uno dei loro allievi, di quello fra essi che è il più evoluto del momento. Sono caduti in modo che non ammette discussioni, in modo anzi che più convincente di così non potrebbe essere. Sono stati battuti nel risultato e nel gioco, nel secondo più ancora che nel primo. Sono stati battuti in velocità, in resistenza fisica, in tecnica, in tattica, colla palla a terra e colla palla in aria, in senso di smarcamento, in arte di tiro, in lavoro costruttivo, in lavoro difensivo, anche in classe dei singoli uomini: in tutto, insomma. L'ambiente e il riguardo verso chi aveva offerto ospitalità non permettevano esplosioni di gioia rumorose o clamorose, ma certi sorrisi e le strette di mano innumerevoli, dicevano tutto. L'Ungheria, riuscendo dove avevano fallito una decina e mezzo di altre nazioni, aveva giocato per il continente; lo aveva quasi vendicato, diremmo, se non temessimo di esagerare. Non era la gioia per la disgrazia altrui, era la soddisfazione per il raggiungimento di un traguardo a cui tutti assieme da tanto tempo si aspirava. La squadra nazionale inglese non ha ceduto senza opporre resistenza. Ha combattuto secondo la sua tradizione. Ma, malgrado tutto, l'evento ha avuto svolgimento normale e regolare. Si è capito subito quale era la squadra migliore, si è visto immediatamente da quale parte stava l'efficienza, si è intuito fin dalle prime battute, senza possibilità di errori, a chi sarebbe spettata la vittoria finale. La resistenza dell'Inghilterra non ha fatto che gettare un gran fascio di luce sulle virtù dell'Ungheria. A tracciare in stile tennistico la strada che ha percorso il risultato per giungere dove è giunto bisogna ricostruire nel seguente modo le vicissitudini della gara: 1-0 per l'Ungheria, poi 1-1; 2-1; 3-1; 4-1; 4-2 a metà tempo; quindi 5-2; 6-2; 6-3 per un rigore. Finale che taglia la testa al toro, finale davanti al quale non c'è che da inchinarsi. Brano presenti più di cento mila persone, di cui più di 98 mila paganti. C'era sole, non nebbia, e la visibilità era buona e il campo ottimo. Come per dichiarare perentoriamente e immediatamente quali fossero le sue intenzioni, l'Ungheria ha segnato subito, fin dal primo minuto. Un'avanzata sulla sinistra, una breve schermaglia quasi sul limite centrale dell'area di rigore inglese, e di colpo il centravanti Hidegkuti rompeva gl'indugi tagliava corto e sparava. Il tiro era un capolavoro di precisione. Alto, preciso, forte, leggermente tagliato, puntava diritto verso il lontano angolo della rete sulla destra del portiere e quell'angolo infilava inesorabilmente. La facilità del tiro è stata impressionante. E subito, a conferma che non si tratta di cosa casuale, la mezz'ala destra Kocsìs, quello che passava per gravemente invalido, manca per pochi centimetri una splendida occasione e Hidegkuti segna e l'arbitro annulla per fuori gioco. Allora l'Inghilterra, come se avesse capito con chi ha da fare, come se avesse compreso quale è la musica che si suona nella giornata, si risveglia, prende a lottare, cerca di portare il combattimento sul piano della robustezza fisica e dà per qualche poco l'impressione di poter ristabilire l'equilibrio della situazione. Riesce a colmare lo svantaggio del punteggio e nulla più. Al 16', Mortensen lancia Sewell con un bel passaggio in profondità, la mezz'ala sinistra avanza, tira in corsa e spedisce nell'angolo basso della rete sulla sinistra del portiere. Non passano cinque minuti che i magiari vanno nuovamente In vantaggio. Su una nuova avanzata del settore sinistro del loro attacco, sono due gli avanti che piombano decisamente e contemporaneamente sulla palla per ricevere 11 centro. Kocsis precede il compagno suo di una frazione di secondo e segna da pochi passi. Cinque minuti più tardi Puskas avanza sulla destra punta diritto davanti a sé, sfonda tutto, arriva a due passi dal portiere, finge di tirare di destro, gira invece su se stesso e infila di sinistro, 3-1. Passano altri tre minuti scarsi e l'Ungheria beneficia di un calcio di punizione poco fuori dell'area di rigore inglese. Tira Kocsis, la palla colpisce involontariamente il piede di Puskas e devia imparabilmente in rete. Qui, in questo ultimo episodio cioè, la fortuna ci ha messo lo zampino e ha dato agli ospiti un aiuto di cui essi dimostrano di non avere affatto bisogno. Si profila una catastrofe dei padroni di casa. Il pubblico è piombato nel silenzio assoluto. Il linguaggio dei fatti ha parlato a questa folla d'intenditori in modo così chiaro e convincente da farla ammutolire. Accenna appena, questo pubblico, a un movimento di risveglio, quando, a cinque minuti dal riposo di metà tempo, Mortensen, approfittando di uno scivolone casuale di Buzanski, riesce a diminuire la distanza: 4-2 all'intervallo. E' l’atteso evento che sta per verificarsi. I centomila presenti lo hanno capito. Si passa al secondo tempo e si ha subito la conferma che l’evento stesso può considerarsi come già giunto alla scadenza. All’80 minuto un energico attacco ungherese ingenera un attimo di confusione nell'area di rigore inglese. Mentre quattro o cinque uomini si guardano attorno alla ricerca della palla che pare scomparsa, questa rimbalza fuori area, capita nei piedi dell'accorrente Bozsik; questi ferma, prende la mira e spedisce nell'angolo lontano. Come nel tiro a segno. E Budai II completa l'opera quattro minuti più tardi. Il lavoro e l'intelligenza dell'azione che porta a questo conclusivo successo dei magiari sono tutti di Puskas: l'ala destra non ha che da intervenire in corsa, colpire al volo e segnare. Il gioco è fatto. Non lo varia il punto che il terzino Ramsey ottiene su calcio di rigore al quarto d'ora, quando il portiere ungherese, gettatosi in tuffo, trattiene per le gambe l'ala sinistra Robb. L'ultima mezz'ora più non avrà storia. Dal 6 a 3 non ci si muoverà. E particolari di nessuna importanza paiono il cambio del portiere che 1 magiari effettuano a dieci minuti dal termine, sostituendo Grosics con Gelici-, e la magnifica parata che Merrick eseguisce su uno splendido tiro di Hidegkuti. L'importante è che quello che doveva avvenire è avvenuto. L'emozione è giustificata. Il crollo è stato impressionante. La narrazione indispensabile di quegli episodi capitali che sono i punti segnati — la bellezza di nove in totale, su 90 minuti di gioco — toglie per questa sera e spazio e tempo a considerazioni di carattere tecnico e generico. La squadra nazionale ungherese, quella stessa che ci aveva inflitto la lezione di Roma verso il termine della stagione scorsa, ha compiuto il suo capolavoro con una partita che non verrà dimenticata da coloro che hanno avuto la fortuna di assistervi. Quel complesso di uomini che da quattro anni gira i campi d'Europa nella stessa formazione, che gioca ad occhi chiusi, che funziona come una macchina ben congegnata e ben oleata, non poteva ottenere premio migliore e più risonante per le sue prodezze. Filosoficamente, diplomaticamente, gl'inglesi hanno accettato la sconfitta. Il che non vuol dire che la digeriscano con facilità. L'avvenimento avrà come conseguenza una piccola rivoluzione nel mondo tecnico del calcio britannico. E' cosa facile da prevedere per chi ha visto gli umori dei presenti. Ha fatto aprire gli occhi. I maestri avevano da tempo dimenticato gli insegnamenti che essi avevano impartito ai loro allievi. Questi hanno rinfrescato loro la memoria. « Ne avevamo bisogno », ha detto un tecnico dalla mente aperta come Wittaker, il direttore dell'Arsenal di Londra, scuotendo il capo che ha visto tante tempeste. Dopo mezzo secolo, è caduto il gigante, è crollato il primato più famoso del mondo. Tributiamo i dovuti onori a chi ha vinto; mettiamoci, da buoni sportivi, sull'attenti di fronte a chi è caduto. Vittorio Pozzo INGHILTERRA: Merrick; Ramsey, Eckersley; Wright, Johnson, Dickinson ; Matthews, Taylor, Mortensen, Sewell, Robb, UNGHERIA: Grosics: Buzanszki, Lantos; Bozsik, Lorant, Zakarias; Budai, Kocsis, Hidegkuti, Puskas, Csibor. Arbitro: Horn (Olanda). - Segnalinee: Schipper (Olanda) e Broukhorat.

 

Grazie mille per aver postato questo storico articolo di Vittorio Pozzo e de "La Stampa".

 

Ne avevo letto una piccola parte, riportata su un libro di Storia dello Sport (anni '60) di mio zio. Mai la versione integrale.

 

Davvero gentile. Grazie mille!

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Però, mi pare di vedere come gli Ungheresi spesso recuperassero palla sulla loro trequarti offensiva.

 

Ed i portatori di palla, in particolare sulle fasce, vengono rincorsi dagli avversari.

 

Dire che il concetto di pressing (magari non evoluto come oggi) fosse totalmente assente, non mi pare sia proprio vero.

 

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Curiosità: spero che il video parta dall'inizio (io lo vedo da fine partita, forse perché rimane salvato sino a dove ho visto la partita...).

ma il ritmo non può essere accelerato dalla velocità dei fotogrammi magari accelerata anche essa?

 

Un po' come nelle vecchie registrazioni dei cantanti lirici si ascoltano note più acute di quelle che effettivamente sapessero emettere perchè la registrazione è più veloce di quanto dovrebbe essere per riprodurre la realtà.

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che storia, il progresso dell'uomo.. queste squadre erano la creme della creme del calcio mondiale ed al giorno d'oggi una squadra di lega pro è 10 volte superiore, sia tecnicamente che tatticamente.

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Grazie mille per aver postato questo storico articolo di Vittorio Pozzo e de "La Stampa".

 

Ne avevo letto una piccola parte, riportata su un libro di Storia dello Sport (anni '60) di mio zio. Mai la versione integrale.

 

Davvero gentile. Grazie mille!

 

Se vai sull'archivio digitale de «La Stampa» (accessibile a tutti gratuitamente, link: http://www.lastampa.it/archivio-storico/ ), e selezioni come giorno il 26 novembre 1953 (ovverosia l'indomani di Inghilterra-Ungheria) puoi scorrere il giornale e la pagina 5 è interamente dedicata (tanto, se si pensa che il quotidiano usciva con sole 10 pagine) alla partita.

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