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Mormegil

Guerra di Siria e situazione mediorientale: news e commenti

Post in rilievo

ottime notizie da isreaele

o forse no??

bibi potrebbe aumentare la tensione(come fatti nelle ultime settimane) in modo da obbligare il Knesset all'immunita

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Lo speaker della Camera, Nancy Pelosi ha dato il via libera per la votazione dell'impeachment di Trump.

La votazione, che sicuramente sarà sfavorevole a Trump potrà avvenire prima di Natale. Poi toccherà al Senato, dove invece i repubblicani hanno la maggioranza: cosa che probabilmente impedirà a Trump di essere destituito.

 

È tuttavia verosimile che il pressoché certo giudizio di colpevolezza che verrà votato alla Camera, ridurrà comunque Trump ad un'anatra zoppa in vista delle prossime presidenziali,  piazzandogli un macigno sulla strada della rielezione.

 

Quello dell'impeachment non è un metodo di lotta politica che io (da sempre repubblicano) apprezzi particolarmente, tuttavia sono giunto alla conclusione che ogni mezzo sia valido pur di impedire al repubblicano Trump di combinare disastri per altri quattro anni.

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3 ore fa, sol invictus ha scritto:

Lo speaker della Camera, Nancy Pelosi ha dato il via libera per la votazione dell'impeachment di Trump.

La votazione, che sicuramente sarà sfavorevole a Trump potrà avvenire prima di Natale. Poi toccherà al Senato, dove invece i repubblicani hanno la maggioranza: cosa che probabilmente impedirà a Trump di essere destituito.

 

È tuttavia verosimile che il pressoché certo giudizio di colpevolezza che verrà votato alla Camera, ridurrà comunque Trump ad un'anatra zoppa in vista delle prossime presidenziali,  piazzandogli un macigno sulla strada della rielezione.

 

Quello dell'impeachment non è un metodo di lotta politica che io (da sempre repubblicano) apprezzi particolarmente, tuttavia sono giunto alla conclusione che ogni mezzo sia valido pur di impedire al repubblicano Trump di combinare disastri per altri quattro anni.

A mio modesto parere l' impeachment non sposterà (purtroppo) nulla dal punto di vista elettorale. Anzi, si avrà l'effetto berlusconiano. Da una parte i "fan" di Trump, che lo difenderanno a spada tratta, accusando i DEM di voler fare un colpo di stato giudiziario, e dall'altra chi vedrò Donald come il nemico assoluto. In conclusione, due schieramenti che si dividono su una persona e non su scelte politiche. E dunque vincerà lo schieramento più compatto (anche se lo è più per necessità che per vera convinzione), ossia quello repubblicano. I Dem sono fratturati tra Liberal e moderati, ergo è possibile che si abbia l'effetto 2016, dove la candidatura Sanders aiutò involontariamente Trump, facendo si che molti giovani non votassero per Hillary (non votassero in generale), ed in questo caso ancora Sanders con l'appoggio della Ocasio Cortez e la Warren, possono fare molto male politicamente sia a Biden e Buttigieg, sia a Bloomberg

I repubblicani non hanno alternative. In caso di destituzione chi candidano? Pence? Non mi sembra in grado di vincere contro Biden. Cruz o Rubio? Il primo quasi perdeva il seggio contro Beto O'Rourke, il secondo ha ancora sul curriculum la pesante sconfitta alle primarie contro Trump e Cruz. Paul Ryan poteva essere un nome presidenziabile, ma si è ritirato a vita privata

Insomma, se i DEM vogliono azzoppare Trump devono puntare sull'economia (che però va bene, ergo non vedo possibilità per Trump di perdere la casa bianca già a Novembre 2020)

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Il 31/10/2019 Alle 20:39, Godo93 ha scritto:

Mha scusate , quello che scrivete lo capisco e condivido pure , solo fino a un certo punto.

 

Cioè io dovrei credere che Bin laden e al baghdadi sono fantocci della cia ?

nel senso che si mettono d'accordo ? che hanno un dialogo e si parlano ecc ?

 

Francamente la trovo una cosa irrealistica, questa è gente che riesce ad ottenere potere portando avanti

politiche religiose piene di odio e discriminazione e oltre a ciò sono pesantemente anti-americani e ne hanno di motivi direi.

 

Pensare che questi signori siano d'accordo in qualche modo con altri americani e ci parlino ecc lo trovo ridicolo.

 

 

No, non si mettono d'accordo. Semplicemente gli USA li lasciano fare finché non toccano i propri interessi (a titolo esemplificativo, Saddam Hussein fu pesantemente finanziato dagli americani in chiave anti iraniana. Poi il buon Saddam comprese che forse, con un po di ingegno, poteva papparsi Kuwait e Arabia Saudita, garantendosi il 60% delle risorse petrolifere mondiali. A quel punto, lo Zio Sam è intervenuto per fermarlo, perché la strategia americana in medio oriente poggia su due colonne:

1) Difendere Israele e i suoi interessi locali

2) Impedire che una sola nazione possa trasformarsi da potenza locale a potenza regionale o peggio mondiale. Loro vogliono essere i pivot della regione, gli unici referenti di tutti gli stati dell'area. Ergo forse non si parlano, ma se il califfo ha conquistato miglia su miglia di territorio in Siria, Iraq e Libia, è sopratutto perché nessuno è intervenuto per fermarli. E chi ha il potere di fermare una simile espansione? Solo gli americani

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Il 4/11/2019 Alle 19:33, Erictheking ha scritto:

secondo me sopravvalutate troppo la CIA e altre agenzie americane. Se non era per i siriani e le soffiate delle loro fonti (oltre che per una vagonata di soldi) quello non lo trovavano mai. Nemmeno i russi lo sapevano. Che poi il tutto sia stato organizzato in un momento ben preciso (alla vigilia del probabile impeachment di trump e con la popolarità in calo) beh fa parte della spettacolarizzazione made in USA

Non solo in concomitanza dell'impeachment. In concomitanza della ritirata USA dal nord della Siria, e del via libera all'offensiva anti curda di Erdogan. Ossia, io Trump ritiro "I nostri ragazzi da territori ostili e lontani. Ma che non mi si dica che favorisco il terrorismo, perché eccovi qua, vi ho portato la testa di Al Baghdadi"

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3 ore fa, SuperTalismano ha scritto:

A mio modesto parere l' impeachment non sposterà (purtroppo) nulla dal punto di vista elettorale. Anzi, si avrà l'effetto berlusconiano. Da una parte i "fan" di Trump, che lo difenderanno a spada tratta, accusando i DEM di voler fare un colpo di stato giudiziario, e dall'altra chi vedrò Donald come il nemico assoluto. In conclusione, due schieramenti che si dividono su una persona e non su scelte politiche. E dunque vincerà lo schieramento più compatto (anche se lo è più per necessità che per vera convinzione), ossia quello repubblicano. I Dem sono fratturati tra Liberal e moderati, ergo è possibile che si abbia l'effetto 2016, dove la candidatura Sanders aiutò involontariamente Trump, facendo si che molti giovani non votassero per Hillary (non votassero in generale), ed in questo caso ancora Sanders con l'appoggio della Ocasio Cortez e la Warren, possono fare molto male politicamente sia a Biden e Buttigieg, sia a Bloomberg

I repubblicani non hanno alternative. In caso di destituzione chi candidano? Pence? Non mi sembra in grado di vincere contro Biden. Cruz o Rubio? Il primo quasi perdeva il seggio contro Beto O'Rourke, il secondo ha ancora sul curriculum la pesante sconfitta alle primarie contro Trump e Cruz. Paul Ryan poteva essere un nome presidenziabile, ma si è ritirato a vita privata

Insomma, se i DEM vogliono azzoppare Trump devono puntare sull'economia (che però va bene, ergo non vedo possibilità per Trump di perdere la casa bianca già a Novembre 2020)

Tendo ad essere d'accordo con te. In effetti la mia era una affermazione che sapeva tanto di auspicio ma difficilmente realizzabile, non avendo i Dem un figura in grado di affascinare, mobilitandolo, il proprio elettorato, coalizzando le antipatie anti-Trump senza risultare del tutto indigeribile ai Rep.

 

Certo che se poi, in ottica anti-Trump, si arriva addirittura a ventilare una riesumazione di Hillary, allora vuol dire che i Dem non solo non hanno capito nulla, ma che si meritano una seconda tranvata.

 

Mi rimane qualche dubbio sulla reazione dell'elettorato USA di fronte ad una eventuale effettiva empeachmentizzazione del biondo.

In questo senso FiveThirtyEight ha pubblicato un sondaggio nel quale il 47,8% degli americani appoggia l'apertura della procedura di impeachment, contro il 44% di contrari.

È chiaro che una campagna elettorale con un Trump impicciato creerebbe una fortissima polarizzazione tra gli schieramenti, ma non applicherei comunque automaticamente l'effetto Silvio all'elettorato americano tendenzialmente più moralista  di quello cazzàro italiano.

 

Resta il fatto che, sempre secondo FiveThirtyEight oltre il 90% degli elettori repubblicani sono, ad oggi, rimasti fedeli a Trump.

 

Imho contraccolpi elettorali su un Trump  impicciato, potranno derivare solo da un combinato disposto tra eventuali defezioni nell'elettorato trumpiano ed una levee en masse degli astenuti della precedente tornata, magari mobilitati sulla base di quanto uscirà dal Congresso nelle prossime settimane.

 

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1 minuto fa, sol invictus ha scritto:

Tendo ad essere d'accordo con te. In effetti la mia era una affermazione che sapeva tanto di auspicio ma difficilmente realizzabile, non avendo i Dem un figura in grado di affascinare, mobilitandolo, il proprio elettorato, coalizzando le antipatie anti-Trump senza risultare del tutto indigeribile ai Rep.

 

Certo che se poi, in ottica anti-Trump, si arriva addirittura a ventilare una riesumazione di Hillary, allora vuol dire che i Dem non solo non hanno capito nulla, ma che si meritano una seconda tranvata.

 

Mi rimane qualche dubbio sulla reazione dell'elettorato USA di fronte ad una eventuale effettiva empeachmentizzazione del biondo.

In questo senso FiveThirtyEight ha pubblicato un sondaggio nel quale il 47,8% degli americani appoggia l'apertura della procedura di impeachment, contro il 44% di contrari.

È chiaro che una campagna elettorale con un Trump impicciato creerebbe una fortissima polarizzazione tra gli schieramenti, ma non applicherei comunque automaticamente l'effetto Silvio all'elettorato americano tendenzialmente più moralista  di quello cazzàro italiano.

 

Resta il fatto che, sempre secondo FiveThirtyEight oltre il 90% degli elettori repubblicani sono, ad oggi, rimasti fedeli a Trump.

 

Imho contraccolpi elettorali su un Trump  impicciato, potranno derivare solo da un combinato disposto tra eventuali defezioni nell'elettorato trumpiano ed una levee en masse degli astenuti della precedente tornata, magari mobilitati sulla base di quanto uscirà dal Congresso nelle prossime settimane.

 

Questo è il dato fondamentale secondo me. Finché il GOP sa di avere la base con se, appoggerà Trump (a meno di rivelazioni scabrose o troppo compromettenti, a quel punto meglio perdere la Casa Bianca che perdere la faccia). Quanto all'effetto Silvio, io credo invece che paradossalmente stiamo esportando il nostro caos (tipicamente italiano) un po in giro per il mondo. Non mi stupirebbe affatto una spaccatura sulla persona di Trump com'è avvenuto qui da noi su Berlusconi

Il punto però è che si ritorna sempre al campo DEM: Non c'è un personaggio carismatico (non parlo di un top come Obama, ma anche di qualcuno che abbia il carisma e la "faccia tosta" di Trump)

L'unica potrebbe essere la Ocasio, ma è troppo giovane, ha la leadership del partito contro, e soprattutto, con le idee che porta avanti (molte delle quali di estrema sinistra o quasi) rischierebbe comunque di spaccare l'elettorato. L'unico che può strappare la Casa Bianca a Donald credo sia Bloomberg, che potrebbe avere appeal anche nell'elettorato repubblicano (tra l'altro fino al 2007 era iscritto ai repubblicani). Lo stesso Biden è credo troppo inviso alle giovani leve del suo stesso partito, rappresenta, per dirla con la propaganda di Trump "the swamp", la palude, la vecchia politica etc (o almeno così la vedono gli elettori di Sanders, Warren e di tutta l'area libeal)

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Con la più grande Ipo della storia (25,6 miliardi $), Saudi Aramco fa il suo esordio in Borsa a Ryad. E gli sceicchi tremano, per 7 motivi
 

“Se l’Arabia Saudita non darà vita a misure di riforma drastiche e lo stato dell’economia globale resterà al livello attuale, siamo destinati alla bancarotta in tre, al massimo quattro anni”. Era l’ottobre del 2016 quando il vice ministro per l’Economia di Ryad, Mohamed Al Tuwaijri, pronunciò queste parole profetiche. All’epoca in molti lo tacciarono di catastrofismo, facendo notare come il montante deficit del Regno a fronte di entrate fiscali dal petrolio che pativano il crollo delle valutazioni, fosse solo un fenomeno transitorio, destinato a risolversi presto. Così non è stato. Dopo quattro anni, il prezzo del greggio stenta a riprendersi. E con esso, in un nesso totalmente causale, anche lo stato di salute della crescita mondiale. Ferma. Pre-recessiva, in molti casi.

 

E’ con questi presupposti che oggi – 11 dicembre – Aramco comincia le sue contrattazioni alla Borsa di Ryad. Oggi, in un contesto tutt’altro che favorevole  per i collocamenti (WeWork docet), il gigante petrolifero saudita fa invece il suo esordio: sintomo che, al netto delle attese e dei roboanti proclami, al Regno servono soldi. Tanti. E in fretta.

 

Stando ai freddi dati formali, il principe Mohammed bin Salman ha vinto la sua scommessa, visto che la prezzatura dell’Ipo si è fissata sulla parte alta della forchetta di oscillazione, vendendo 3 miliardi di titoli (1,5% del pacchetto) a 32 riyals per azione (circa 8,53 dollari) e raggiugnendo così il totale record di 25,6 miliardi di dollari. La più grande Ipo della storia, come mostra il grafico, maggiore anche dello sbarco di Alibaba nel 2014 e, soprattutto, una prezzatura che porta il market cap di Aramco a 1,7 trilioni di dollari, più di Apple.

Ma, prima criticità, sotto la soglia dei 2 trilioni, per anni sbandierata proprio da bin Salman come suo obiettivo irrinunciabile, visto che l’idea originaria era di mettere sul mercato il 5% di Aramco per 100 miliardi e di quotarla in un grande hub finanziario come New York o Londra. Invece, solo sulla Borsa di Ryad. E nonostante il tasso di sovra-iscrizione dell’Ipo si sia fissato a un lusinghiero 4,65x, sono in molti a tenere le dita incrociate nel Regno in vista dell’avvio ufficiale delle contrattazioni.

Per più di un motivo.

  • Primo, l’Arabia ha esercitato in fase di collocamento anche la cosiddetta green shoe, ovvero l’opzione che permette di vendere il 15% di azioni in più, ufficialmente per andare incontro alla domanda. Con questa mossa i proventi del collocamento sono quindi saliti a 29,4 miliardi di dollari ma, trattandosi di Aramco, in molti hanno letto l’accaduto come un ulteriore tentativo di ammansire un mercato che guarda con grande distacco e criticità a quanto sta accadendo, quantomeno a livello di investitori internazionali.
  • Secondo, infatti, la scelta di quotare l’azienda solo sulla Borsa di Ryad ha molto “provincializzato” l’operazione – non a caso sono stati annullati all’ultimo minuto anche i road-show previsti a Londra, New York e Francoforte -, tanto che la stragrande maggioranza degli acquisti si sono concentrati in Arabia Saudita e nei Paesi confinanti, i quali nutrono spesso giocoforza un’acritica fiducia nei destini del petrolio e del suo mercato. Molti sono anche i clienti retail interni, mossi in tal senso sia dalla martellante campagna pubblicitaria che dalla scelta dell’Autorità finanziaria saudita (Sama), la quale ha ampliato il suo programma di prestiti alle banche commerciali, affinché invogliassero i correntisti a indebitarsi per acquistare titoli. Paradossalmente, le ultime persone al mondo che avrebbero dovuto partecipare all’operazione, visto che come cittadini sauditi già dipendono da Aramco per le tasse e le royalties che paga al governo, ora anche per i dividendi. L’opposto assoluto della diversificazione, senza contare che in caso di calo delle valutazioni dei titoli, il Regno si troverebbe ad affrontare anche il problema politico di una folla di risparmiatori/investitori inferociti.
  • Terzo, la strategia scelta da Ryad tradisce paura. Aramco necessitava a tutti i costi di vendere molte azioni a prezzo alto ma, con la cosiddetta smart money internazionale chiamatasi fuori dai giochi, restavano due opzioni sul tavolo: tagliare la valutazione, accontentandosi di un mid-range sulla forchetta di prezzo oppure ridurre il volume della vendita. A Ryad hanno scelto la seconda. Anche perché, quando l’Ipo stava entrando nel vivo, nientemeno che la Bernstein Research pubblicava un sondaggio condotto fra 31 dei più importanti investitori globali, dal quale si evinceva che la valutazione media che veniva fornita al titolo era di circa 6,30 dollari per azione, una cifra che spingeva al ribasso il market cap totale a 1,26 trilioni di dollari. Della serie, o abbassate le pretese o noi occidentali restiamo alla finestra a goderci lo spettacolo. Dovendo fare di necessità virtù, Aramco ha comunque deciso di contrarre la quantità di titoli venduti, pur di tenere alte le valutazioni.

Ed ecco spiegata la scelta di quotarsi solo su Ryad, evitando l’Occidente che – almeno in prima battuta – ha voltato le spalle al Sacro Graal delle Ipo: tanto attesa per anni, quanto snobbata giunti al momento della verità. Marcel Proust applicato alla finanza. Operando in quel modo, infatti, l’azienda ha dovuto concentrare al massimo la sua forza persuasiva su una platea numericamente più limitata ma con il massimo della determinazione a partecipare, qualsiasi fosse il prezzo richiesto per il titolo. Tutta clientela “locale”, però. Quella meno price-sensitive e maggiormente influenzabile da fattori esogeni ed extra-mercato, non ultimo un certo grado di coercizione politica e sociale in un regime non certo liberale.

Così facendo, però, si è abbassato anche il controvalore di denaro introitato con il collocamento, da qui la scelta di esercitare l’opzione green shoe.

  • Quarto, il forcing operato in sede Opec il 6 dicembre proprio dall’Arabia Saudita al fine di ottenere un taglio della produzione più ampio di quanto atteso, scelta che ha ovviamente portato con sé un aumento – temporaneo – del prezzo del barile. Per i primi tre mesi del 2020, quindi, i Paesi che fanno riferimento al cartello petrolifero produrranno 500mila barili in meno al giorno, portando l’abbassamento totale quotidiano dell’output a 1,7 milioni. E che il timing della mossa tradisse la volontà saudita di creare condizioni ambientali e psicologiche ad hoc in vista dello sbarco in Borsa del colosso è risultato tanto palese da spingere un solitamente taciturno ministro dell’Energia saudita, Abdulaziz bin Salman, a rilasciare un intervista a Cnbc, nel corso della quale ha più volte negato alcun tipo di correlazione fra i due eventi. Tipico caso di excusatio non petita, almeno agli occhi di moltissimi operatori di mercato.
  • Quinto, il problema è che una mossa simile amplifica ulteriormente il rischio di correlazione diretta del titolo a ogni, possibile fluttuazione del prezzo del petrolio. Se infatti un aumento graduale o una tenuta potrebbero a malapena garantire un supporto minimo alla valutazione di Ipo, stante il range molto alto scelto per la prezzatura, un calo delle valutazioni del barile – tutt’altro che da escludere, in caso i venti pre-recessivi continuassero a spegnere ogni focolaio di ripresa da iniezione monetaria – potrebbe dar vita a una spirale auto-alimentante di vendite. Soprattutto, partendo dal presupposto che – a meno di impennate a breve termine – la platea “locale” di investitori è stata quasi totalmente spremuta nella prima ondata di vendita per il collocamento, quindi in caso di necessità/volontà di ritorno sul mercato per ulteriori offerte di titoli, Aramco dovrà abbassare – e di molto – le sue richieste, innescando ulteriore tensione di downside sul prezzo dell’azione, ora in contrattazione libera.

E questi tre grafici mettono ulteriormente in prospettiva la situazione.

Ci mostrano, infatti, come non solo l’Arabia Saudita sia già oggi retrocessa al terzo posto nella produzione globale di petrolio dopo Russia e Usa

ma anche – e soprattutto – come, al netto di un’ormai abusata politica di “aggiustamento” strategico della produzione tramite tagli calibrati per supportare le valutazioni, anche la carta shock – al fine delle dinamiche rialziste di prezzo – dell’attacco contro gli stabilimenti Aramco da parte di droni yemeniti/iraniani si sia risolta in una bolla di sapone, soprattutto alla luce del miracoloso ritorno alla normalità produttiva in tempi record.

  • Sesto, se per caso davvero le cose volgeranno al negativo o l’entusiasmo iniziale si spegnerà in breve tempo, quanto ci metteranno ad emergere schiere di short sellers proprio nei mercati occidentali che hanno snobbato il collocamento? Magari, operando sul proxy più diretto e velenoso per un governo alle prese con deficit massivo e necessità vitali di entrate: ovvero, i credit default swaps sovrani del Regno.

Di fatto, anche un test per la tenuta politica dell’asse Washington-Ryad, visto che – al netto del mito dell’indipendenza del libero mercato – un attacco speculativo in grande stile contro i sauditi potrebbe partire solo con la luce verde della Casa Bianca o del Dipartimento di Stato, stante la realtà di interconnessione finanziaria dipinta da questo grafico.

E la distensione fra Usa e Iran, seguita allo scambio di prigionieri di inizio settimana, rappresenta un ulteriore segnale di allarme per il rampante Mohammed bin Salman: come dire, ora che SoftBank è stata salvata da Goldman Sachs, Ryad non si azzardi a tagliare l’investimento in venture capital su Silicon Valley e dintorni.

  • Settimo e ultimo, proprio il ragionamento in prospettiva rispetto al grande piano di riforma, il Vision 2030, voluto dal principe-plenipotenziario e che basa gran parte della sua capacità di attuazione fattiva sugli introiti dell’Ipo di Aramco: “E’ difficile pensare di ripetere un tale livello di sottoscrizione anche per raggiungere, in ulteriori tappe di collocamento, i flussi di cassa necessari per garantire il sostegno economico necessario a quel progetto. E la diversificazione economica di un sistema sclerotizzato e petrolio-dipendente come quello saudita, necessita davvero di molti fondi per operare dei cambiamenti”, dichiara Bill Farren-Price, consulente al RS Energy Group. Oggi, il primo responso.

 

 

interessante articolo sul mediooriente

perchè probabilemnte dopo gerusalemme(forse prima) la saudi aramco è la cosa più importante del  M.O.  per equilibri ed influenze

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19 ore fa, Vonpalace ha scritto:
Con la più grande Ipo della storia (25,6 miliardi $), Saudi Aramco fa il suo esordio in Borsa a Ryad. E gli sceicchi tremano, per 7 motivi
 

“Se l’Arabia Saudita non darà vita a misure di riforma drastiche e lo stato dell’economia globale resterà al livello attuale, siamo destinati alla bancarotta in tre, al massimo quattro anni”. Era l’ottobre del 2016 quando il vice ministro per l’Economia di Ryad, Mohamed Al Tuwaijri, pronunciò queste parole profetiche. All’epoca in molti lo tacciarono di catastrofismo, facendo notare come il montante deficit del Regno a fronte di entrate fiscali dal petrolio che pativano il crollo delle valutazioni, fosse solo un fenomeno transitorio, destinato a risolversi presto. Così non è stato. Dopo quattro anni, il prezzo del greggio stenta a riprendersi. E con esso, in un nesso totalmente causale, anche lo stato di salute della crescita mondiale. Ferma. Pre-recessiva, in molti casi.

 

E’ con questi presupposti che oggi – 11 dicembre – Aramco comincia le sue contrattazioni alla Borsa di Ryad. Oggi, in un contesto tutt’altro che favorevole  per i collocamenti (WeWork docet), il gigante petrolifero saudita fa invece il suo esordio: sintomo che, al netto delle attese e dei roboanti proclami, al Regno servono soldi. Tanti. E in fretta.

 

Stando ai freddi dati formali, il principe Mohammed bin Salman ha vinto la sua scommessa, visto che la prezzatura dell’Ipo si è fissata sulla parte alta della forchetta di oscillazione, vendendo 3 miliardi di titoli (1,5% del pacchetto) a 32 riyals per azione (circa 8,53 dollari) e raggiugnendo così il totale record di 25,6 miliardi di dollari. La più grande Ipo della storia, come mostra il grafico, maggiore anche dello sbarco di Alibaba nel 2014 e, soprattutto, una prezzatura che porta il market cap di Aramco a 1,7 trilioni di dollari, più di Apple.

Ma, prima criticità, sotto la soglia dei 2 trilioni, per anni sbandierata proprio da bin Salman come suo obiettivo irrinunciabile, visto che l’idea originaria era di mettere sul mercato il 5% di Aramco per 100 miliardi e di quotarla in un grande hub finanziario come New York o Londra. Invece, solo sulla Borsa di Ryad. E nonostante il tasso di sovra-iscrizione dell’Ipo si sia fissato a un lusinghiero 4,65x, sono in molti a tenere le dita incrociate nel Regno in vista dell’avvio ufficiale delle contrattazioni.

Per più di un motivo.

  • Primo, l’Arabia ha esercitato in fase di collocamento anche la cosiddetta green shoe, ovvero l’opzione che permette di vendere il 15% di azioni in più, ufficialmente per andare incontro alla domanda. Con questa mossa i proventi del collocamento sono quindi saliti a 29,4 miliardi di dollari ma, trattandosi di Aramco, in molti hanno letto l’accaduto come un ulteriore tentativo di ammansire un mercato che guarda con grande distacco e criticità a quanto sta accadendo, quantomeno a livello di investitori internazionali.
  • Secondo, infatti, la scelta di quotare l’azienda solo sulla Borsa di Ryad ha molto “provincializzato” l’operazione – non a caso sono stati annullati all’ultimo minuto anche i road-show previsti a Londra, New York e Francoforte -, tanto che la stragrande maggioranza degli acquisti si sono concentrati in Arabia Saudita e nei Paesi confinanti, i quali nutrono spesso giocoforza un’acritica fiducia nei destini del petrolio e del suo mercato. Molti sono anche i clienti retail interni, mossi in tal senso sia dalla martellante campagna pubblicitaria che dalla scelta dell’Autorità finanziaria saudita (Sama), la quale ha ampliato il suo programma di prestiti alle banche commerciali, affinché invogliassero i correntisti a indebitarsi per acquistare titoli. Paradossalmente, le ultime persone al mondo che avrebbero dovuto partecipare all’operazione, visto che come cittadini sauditi già dipendono da Aramco per le tasse e le royalties che paga al governo, ora anche per i dividendi. L’opposto assoluto della diversificazione, senza contare che in caso di calo delle valutazioni dei titoli, il Regno si troverebbe ad affrontare anche il problema politico di una folla di risparmiatori/investitori inferociti.
  • Terzo, la strategia scelta da Ryad tradisce paura. Aramco necessitava a tutti i costi di vendere molte azioni a prezzo alto ma, con la cosiddetta smart money internazionale chiamatasi fuori dai giochi, restavano due opzioni sul tavolo: tagliare la valutazione, accontentandosi di un mid-range sulla forchetta di prezzo oppure ridurre il volume della vendita. A Ryad hanno scelto la seconda. Anche perché, quando l’Ipo stava entrando nel vivo, nientemeno che la Bernstein Research pubblicava un sondaggio condotto fra 31 dei più importanti investitori globali, dal quale si evinceva che la valutazione media che veniva fornita al titolo era di circa 6,30 dollari per azione, una cifra che spingeva al ribasso il market cap totale a 1,26 trilioni di dollari. Della serie, o abbassate le pretese o noi occidentali restiamo alla finestra a goderci lo spettacolo. Dovendo fare di necessità virtù, Aramco ha comunque deciso di contrarre la quantità di titoli venduti, pur di tenere alte le valutazioni.

Ed ecco spiegata la scelta di quotarsi solo su Ryad, evitando l’Occidente che – almeno in prima battuta – ha voltato le spalle al Sacro Graal delle Ipo: tanto attesa per anni, quanto snobbata giunti al momento della verità. Marcel Proust applicato alla finanza. Operando in quel modo, infatti, l’azienda ha dovuto concentrare al massimo la sua forza persuasiva su una platea numericamente più limitata ma con il massimo della determinazione a partecipare, qualsiasi fosse il prezzo richiesto per il titolo. Tutta clientela “locale”, però. Quella meno price-sensitive e maggiormente influenzabile da fattori esogeni ed extra-mercato, non ultimo un certo grado di coercizione politica e sociale in un regime non certo liberale.

Così facendo, però, si è abbassato anche il controvalore di denaro introitato con il collocamento, da qui la scelta di esercitare l’opzione green shoe.

  • Quarto, il forcing operato in sede Opec il 6 dicembre proprio dall’Arabia Saudita al fine di ottenere un taglio della produzione più ampio di quanto atteso, scelta che ha ovviamente portato con sé un aumento – temporaneo – del prezzo del barile. Per i primi tre mesi del 2020, quindi, i Paesi che fanno riferimento al cartello petrolifero produrranno 500mila barili in meno al giorno, portando l’abbassamento totale quotidiano dell’output a 1,7 milioni. E che il timing della mossa tradisse la volontà saudita di creare condizioni ambientali e psicologiche ad hoc in vista dello sbarco in Borsa del colosso è risultato tanto palese da spingere un solitamente taciturno ministro dell’Energia saudita, Abdulaziz bin Salman, a rilasciare un intervista a Cnbc, nel corso della quale ha più volte negato alcun tipo di correlazione fra i due eventi. Tipico caso di excusatio non petita, almeno agli occhi di moltissimi operatori di mercato.
  • Quinto, il problema è che una mossa simile amplifica ulteriormente il rischio di correlazione diretta del titolo a ogni, possibile fluttuazione del prezzo del petrolio. Se infatti un aumento graduale o una tenuta potrebbero a malapena garantire un supporto minimo alla valutazione di Ipo, stante il range molto alto scelto per la prezzatura, un calo delle valutazioni del barile – tutt’altro che da escludere, in caso i venti pre-recessivi continuassero a spegnere ogni focolaio di ripresa da iniezione monetaria – potrebbe dar vita a una spirale auto-alimentante di vendite. Soprattutto, partendo dal presupposto che – a meno di impennate a breve termine – la platea “locale” di investitori è stata quasi totalmente spremuta nella prima ondata di vendita per il collocamento, quindi in caso di necessità/volontà di ritorno sul mercato per ulteriori offerte di titoli, Aramco dovrà abbassare – e di molto – le sue richieste, innescando ulteriore tensione di downside sul prezzo dell’azione, ora in contrattazione libera.

E questi tre grafici mettono ulteriormente in prospettiva la situazione.

Ci mostrano, infatti, come non solo l’Arabia Saudita sia già oggi retrocessa al terzo posto nella produzione globale di petrolio dopo Russia e Usa

ma anche – e soprattutto – come, al netto di un’ormai abusata politica di “aggiustamento” strategico della produzione tramite tagli calibrati per supportare le valutazioni, anche la carta shock – al fine delle dinamiche rialziste di prezzo – dell’attacco contro gli stabilimenti Aramco da parte di droni yemeniti/iraniani si sia risolta in una bolla di sapone, soprattutto alla luce del miracoloso ritorno alla normalità produttiva in tempi record.

  • Sesto, se per caso davvero le cose volgeranno al negativo o l’entusiasmo iniziale si spegnerà in breve tempo, quanto ci metteranno ad emergere schiere di short sellers proprio nei mercati occidentali che hanno snobbato il collocamento? Magari, operando sul proxy più diretto e velenoso per un governo alle prese con deficit massivo e necessità vitali di entrate: ovvero, i credit default swaps sovrani del Regno.

Di fatto, anche un test per la tenuta politica dell’asse Washington-Ryad, visto che – al netto del mito dell’indipendenza del libero mercato – un attacco speculativo in grande stile contro i sauditi potrebbe partire solo con la luce verde della Casa Bianca o del Dipartimento di Stato, stante la realtà di interconnessione finanziaria dipinta da questo grafico.

E la distensione fra Usa e Iran, seguita allo scambio di prigionieri di inizio settimana, rappresenta un ulteriore segnale di allarme per il rampante Mohammed bin Salman: come dire, ora che SoftBank è stata salvata da Goldman Sachs, Ryad non si azzardi a tagliare l’investimento in venture capital su Silicon Valley e dintorni.

  • Settimo e ultimo, proprio il ragionamento in prospettiva rispetto al grande piano di riforma, il Vision 2030, voluto dal principe-plenipotenziario e che basa gran parte della sua capacità di attuazione fattiva sugli introiti dell’Ipo di Aramco: “E’ difficile pensare di ripetere un tale livello di sottoscrizione anche per raggiungere, in ulteriori tappe di collocamento, i flussi di cassa necessari per garantire il sostegno economico necessario a quel progetto. E la diversificazione economica di un sistema sclerotizzato e petrolio-dipendente come quello saudita, necessita davvero di molti fondi per operare dei cambiamenti”, dichiara Bill Farren-Price, consulente al RS Energy Group. Oggi, il primo responso.

 

 

interessante articolo sul mediooriente

perchè probabilemnte dopo gerusalemme(forse prima) la saudi aramco è la cosa più importante del  M.O.  per equilibri ed influenze

Va detto che nonostante tutto in Arabia ci vuole poco per sistemare le cose, chiunque ci vivi o ci abbia vissuto si rende conto della quantità di sprechi e dell'assenza di imposte, già con l'IVA al 5% hanno sistemato molto, poi sugli sprechi proprio l'altro giorno parlavo con mio cugino, le sue testuali parole "Hanno iniziato a usare il cervello, ora fanno progetti utili e con un senso economico, prima facevano tanto per fare", che in soldoni in un paese come l'Arabia vuol dire MILIARDI risparmiati.  

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in libia la situazione sta diventando pericolosa, e l'UE dorme. 

 

Tutti gli altri stati del mediterraneo dovrebbero chiedere i danni a Sarkozy e alla Francia. 

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14 ore fa, francesco_86 ha scritto:

in libia la situazione sta diventando pericolosa, e l'UE dorme

 

Tutti gli altri stati del mediterraneo dovrebbero chiedere i danni a Sarkozy e alla Francia. 

Siamo noi che dormiamo. La Libia è, senza offesa per il suo popolo, le sue tradizioni etc, il nostro giardino di casa. Se non ce ne occupiamo noi (a parte dichiarare di volere un utopistica "soluzione politica", perché dovrebbero farlo, che so, tedeschi, inglesi o francesi?)

 

Anche nel 2011, eravamo noi a poterci opporre alla destituzione di Gheddafi, o quantomeno potevamo spingere per una transizione morbida. Invece abbiamo accettato supinamente l'operazione, prendendoci le conseguenze (perdita di influenza nel nordafrica, crisi migratoria con tutte le problematiche sociali che ciò può comportare, e ultimo ma non ultimo, l'avere a poche decine di chilometri da casa nostra milizie armate che agiscono senza controllo)

 

Ora è troppo tardi, quindi o l'anno prossimo Trump viene battuto, e al suo posto arriva qualcuno (democratico o repubblicano cambia poco) che abbia un qualche interesse a fermare la penetrazione russa in Libia, fornendoci di fatto il supporto per "intervenire" sul territorio, oppure Haftar, Al Sisi e Erdogan si spartiranno il paese (con buona pace dell'ONU, dell'UE e di Sarraj)

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Quindi Erdogan, dopo essersi annesso il Kurdistan, vuole pure farsi garante di una nuova eventuale pax libica

 

I russi hanno scalzato i francesi dal ruolo di padri nobili di Haftar. Egitto, Qatar ed Emirati inviano armi e mercenari

 

Mi sconcerta sempre di più non tanto la debolezza (meglio, l'inesistenza) di una nostra strategia diplomatica (vediamo a cosa servirà la visita di Di Maio a Tripoli e Bengasi), quanto l'assoluta assenza americana

 

Capisco che per loro la Libia valga quanto la Mongolia, strategicamente parlando. Ma è salutare per la NATO far diventare il Mediterraneo uno spazio russo-turco (la Libia dopo la Siria) senza porre alcun freno a ciò? (E ok che i turchi sono nella NATO, ma di fatto agiscono in maniera autonoma)

 

 

 

https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2019/12/17/libia-internazionalizzazione-conflitto

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Il ‎06‎/‎12‎/‎2019 Alle 09:45, sol invictus ha scritto:

Lo speaker della Camera, Nancy Pelosi ha dato il via libera per la votazione dell'impeachment di Trump.

La votazione, che sicuramente sarà sfavorevole a Trump potrà avvenire prima di Natale. Poi toccherà al Senato, dove invece i repubblicani hanno la maggioranza: cosa che probabilmente impedirà a Trump di essere destituito.

 

È tuttavia verosimile che il pressoché certo giudizio di colpevolezza che verrà votato alla Camera, ridurrà comunque Trump ad un'anatra zoppa in vista delle prossime presidenziali,  piazzandogli un macigno sulla strada della rielezione.

 

Quello dell'impeachment non è un metodo di lotta politica che io (da sempre repubblicano) apprezzi particolarmente, tuttavia sono giunto alla conclusione che ogni mezzo sia valido pur di impedire al repubblicano Trump di combinare disastri per altri quattro anni.

è politica, pura politica.

da qualche anno (da tangentopoli in italia) l'azione giudiziaria sfruttata ed utilizzata dai politici (ai fini politici appunto) è diventata un must.

in italia, per via della debolezza della politica, è all'ordine del giorno, nella logica della divisione dei poteri in democrazia, il potere giudiziario si è innalzato, quello politico abbassato (per ovvi motivi di inadeguatezza).

e questo al di la di simpatie ed antipatie per trump...

 

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Gli stati uniti con un attacco a sorpresa in Iraq hanno ucciso il generale Soleimani, figura di spicco dell'esercito iraniano.

Potrebbero esserci conseguenze gravissime. Teniamoci forte.

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1 ora fa, francesco_86 ha scritto:

Gli stati uniti con un attacco a sorpresa in Iraq hanno ucciso il generale Soleimani, figura di spicco dell'esercito iraniano.

Potrebbero esserci conseguenze gravissime. Teniamoci forte.

Ha seminato vento per anni dall'Iraq al Libano: che finisse arrostito a sua volta era solo questione di tempo.

 

Circa le modalità pare gli abbiano fatto saltare la macchina, probabilmente usando un drone.

 

Ci saranno sicuramente conseguenze, ma l'Iran va bloccato e ridimensionato ed il defunto era il più efficace elemento di destabilizzazione degli ayatollah in tutta la mezzaluna sciita.

A Washington, Tel Aviv e Ryad stanno brindando. E vista l'ora anche io, nel mio piccolo, vado a farmi un caffè :d

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1 ora fa, sol invictus ha scritto:

Ha seminato vento per anni dall'Iraq al Libano: che finisse arrostito a sua volta era solo questione di tempo.

 

Circa le modalità pare gli abbiano fatto saltare la macchina, probabilmente usando un drone.

 

Ci saranno sicuramente conseguenze, ma l'Iran va bloccato e ridimensionato ed il defunto era il più efficace elemento di destabilizzazione degli ayatollah in tutta la mezzaluna sciita.

A Washington, Tel Aviv e Ryad stanno brindando. E vista l'ora anche io, nel mio piccolo, vado a farmi un caffè :d

Mah, questa escalation della tensione con l'Iran non porterà nulla di buono. E sinceramente faccio molta fatica a non considerare queste azioni come atti terroristici. Speriamo che il 2020 sia l'anno dell'uscita di scena (in qualche modo) del cialtrone alla Casa Bianca. 

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30 minuti fa, Granpasso ha scritto:

Mah, questa escalation della tensione con l'Iran non porterà nulla di buono. E sinceramente faccio molta fatica a non considerare queste azioni come atti terroristici. Speriamo che il 2020 sia l'anno dell'uscita di scena (in qualche modo) del cialtrone alla Casa Bianca. 

Personalmente, fratello, preferisco un Suleimani morto ad un Suleimani vivo, perché si trattava veramente del Deus ex machina di Teheran in MO, colui che aveva letteralmente in mano tutta la mezzaluna sciita da Bassora a Beirut, passando per Damasco. Era stato l'organizzatore dell'intervento iraniano in Siria, dove aveva inviato migliaia di volontari, ed aveva il controllo di Hezbollah e delle milizie sciite irachene che a loro volta hanno ipotecato il governo di Bagdad. Dal suo ruolo di comandante della divisione estera dei Pasdaran disponeva di enormi risorse e quindi potere ed aveva ottenuto per le Guardie Rivoluzionarie l'appalto della ricostruzione siriana. In altre parole la politica estera "black" degli ayatollah passava attraverso di lui che a sua volta muoveva le sue pedine. 

La sua eliminazione quindi, infligge un colpo durissimo alla strategia iraniana: perché non è assolutamente vero che morto un papa se ne fa un altro, non a quei livelli perlomeno, soprattutto per la pesante "eredità" che lascia e che adesso verrà contesa tra chissà quanti aspiranti successori pronti a farsi le scarpe a vicenda. Il Tizio era infatti estremamente carismatico e spietato e si era fatto le ossa durante la guerra Iran-Iraq guadagnandosi credito e rispetto tra i suoi adepti: che adesso verranno a mancare.

In MO le relazioni personali ed il relativo tessuto di scambi e convenienze sono una componente essenziale e Suleimani era sugli scudi da almeno 20 anni: per questo non sarà per nulla facile sostituirlo. Da qui il mio, personale, giudizio positivo sull'operazione.

 

La domanda che mi pongo però è un'altra: questa operazione (che di per sé ha una enorme potenziale magnitudo nello scenario mediorientale) rappresenta un cambio di strategia di Washington nella regione, oppure è semplicemente una specie di "referenza" (non troppo diversa dall'eliminazione di al Baghdadi) che Trump potrà sventolare in campagna elettorale per parare le accuse dei Dem di essersi disinteressato del MO lasciando campo libero alla congrega Russia-Iran-Turchia?

Voglio dire: è l'inizio di una piena strategia di contenimento dell'Iran oppure semplicemente uno scalpo per Trump, da esibire alla pancia dei suoi elettori? 

 

 

 

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42 minuti fa, sol invictus ha scritto:

 

La domanda che mi pongo però è un'altra: questa operazione (che di per sé ha una enorme potenziale magnitudo nello scenario mediorientale) rappresenta un cambio di strategia di Washington nella regione, oppure è semplicemente una specie di "referenza" (non troppo diversa dall'eliminazione di al Baghdadi) che Trump potrà sventolare in campagna elettorale per parare le accuse dei Dem di essersi disinteressato del MO lasciando campo libero alla congrega Russia-Iran-Turchia?

Voglio dire: è l'inizio di una piena strategia di contenimento dell'Iran oppure semplicemente uno scalpo per Trump, da esibire alla pancia dei suoi elettori? 

 

 

 

Difficile dirlo con Trump, la cui imprevedibilità è ormai ampiamente nota. Di una cosa però sono sicuro: Trump, come al solito, non ha valutato con attenzione le possibili conseguenze di questo atto e sono d'accordo per una volta con Biden che afferma che l'amministrazione Trump non abbia la "necessaria visione a lungo termine".

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2 ore fa, Granpasso ha scritto:

Mah, questa escalation della tensione con l'Iran non porterà nulla di buono. E sinceramente faccio molta fatica a non considerare queste azioni come atti terroristici. Speriamo che il 2020 sia l'anno dell'uscita di scena (in qualche modo) del cialtrone alla Casa Bianca.  

Non troppi giorni fa c'è stato un attacco all'ambasciata USA a Baghdad.

Dietro c'era sicuramente la mano di questo signore, del resto che ci fa un generale (anzi, uno dei servizi segreti) iraniani in Iraq?

Gli USA hanno risposto, del resto attaccare un'ambasciata equivale ad attaccare il paese stesso.

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Intanto, Debkafile, che è un sito collegato indirettamente all'intelligence israeliana aggiunge un paio di particolari: l'utilizzo di un elicottero come mezzo d'attacco ed il probabile supporto dei servizi di Tel Aviv.

 

Altre fonti invece parlano dell'impiego di droni Reaper

 

I resti di una delle due auto distrutte

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A US air strike at Baghdad’s international airport killed Iran’s Mid-East commander, the IRGC’s Al Qods chief Gen. Qassem Soleimani, 62, and the Iranian-backed Iraqi PMU militia chief Abu Mahdi al-Muhandis.

The raid was carried out by US assault helicopters early Friday, Jan. 3 and is said to have killed seven people. The Popular Mobilization Units (PMU) is the umbrella organization for pro-Iranian Iraqi Shiite militias, including the Kata’ib Hezballah, which was assigned by Soleimani to carry out major assaults on US bases. Its leaders were at Baghdad airport to collect “high profile guests.”

DEBKAfile’s military and intelligence sources report that Soleimani’s death represents an extraordinary US operational-intelligence feat in which Israeli intelligence may be presumed to have assisted. It ramps up the US-Iranian contest to the level of open war between US forces serving in Iraq – numbering some 5,000 – and Iran’s Revolutionary Guards units operating in the country under Soleimani’s command.

This was the second American strike in Iraq this week. On Sunday, Dec. 29, the US Air Force struck five Kataib Hezballah bases in Iraq and Syria, killing some 25 fighters.
It was also President Donald Trump’s reply to supreme leader Ayatollah Ali Khamenei’s mocking remark that he “can’t do anything to Iran.”

On Thursday, US Defense Secretary Mark Esper commented on the situation in Iraq: “The game has changed. Violent acts by Iran-backed Shiite militias in Iraq will be met with US military force.”

 

 

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L'Iran dovrà chiaramente reagire e in modo al tempo stesso eclatante (perchè il colpo subito è pesantissimo anche a livello di immagine) e però non troppo offensivo, perchè non può permettersi un conflitto militare, da cui seguirebbero, inevitabilmente, resa e regime change  

In realtà, se c'era un momento per attaccare l'Iran era proprio questo: è ancora senza nucleare, sta affrontando forti tensioni interne (si parla di un migliaio di manifestanti uccisi) e una crisi economica apparentemente senza uscita, con le sanzioni sul petrolio e gli impegni (sempre più gravosi) in medio oriente, tra Siria, Iraq e Yemen (tutte faccende oltretutto di cui si "occupava" il buon Qassem)

 

 

 

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11 ore fa, sol invictus ha scritto:

 

Ci saranno sicuramente conseguenze, ma l'Iran va bloccato e ridimensionato ed il defunto era il più efficace elemento di destabilizzazione degli ayatollah in tutta la mezzaluna sciita.

A Washington, Tel Aviv e Ryad stanno brindando. E vista l'ora anche io, nel mio piccolo, vado a farmi un caffè :d

sicuramente in italia per l'italia non c'è nulla da festeggiare

è evidente che ormai gli interessi italiani/europei differiscono di molto da quelli USA vedi(nordstream,sanzini iran,etc etc)

urge sganciarsi immediatamente dalla dipendenza del dollaro e cominciare ad organizzarsi

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9 ore fa, sol invictus ha scritto:

Personalmente, fratello, preferisco un Suleimani morto ad un Suleimani vivo, perché si trattava veramente del Deus ex machina di Teheran in MO, colui che aveva letteralmente in mano tutta la mezzaluna sciita da Bassora a Beirut, passando per Damasco. Era stato l'organizzatore dell'intervento iraniano in Siria, dove aveva inviato migliaia di volontari, ed aveva il controllo di Hezbollah e delle milizie sciite irachene che a loro volta hanno ipotecato il governo di Bagdad. Dal suo ruolo di comandante della divisione estera dei Pasdaran disponeva di enormi risorse e quindi potere ed aveva ottenuto per le Guardie Rivoluzionarie l'appalto della ricostruzione siriana. In altre parole la politica estera "black" degli ayatollah passava attraverso di lui che a sua volta muoveva le sue pedine. 

La sua eliminazione quindi, infligge un colpo durissimo alla strategia iraniana: perché non è assolutamente vero che morto un papa se ne fa un altro, non a quei livelli perlomeno, soprattutto per la pesante "eredità" che lascia e che adesso verrà contesa tra chissà quanti aspiranti successori pronti a farsi le scarpe a vicenda. Il Tizio era infatti estremamente carismatico e spietato e si era fatto le ossa durante la guerra Iran-Iraq guadagnandosi credito e rispetto tra i suoi adepti: che adesso verranno a mancare.

In MO le relazioni personali ed il relativo tessuto di scambi e convenienze sono una componente essenziale e Suleimani era sugli scudi da almeno 20 anni: per questo non sarà per nulla facile sostituirlo. Da qui il mio, personale, giudizio positivo sull'operazione.

 

La domanda che mi pongo però è un'altra: questa operazione (che di per sé ha una enorme potenziale magnitudo nello scenario mediorientale) rappresenta un cambio di strategia di Washington nella regione, oppure è semplicemente una specie di "referenza" (non troppo diversa dall'eliminazione di al Baghdadi) che Trump potrà sventolare in campagna elettorale per parare le accuse dei Dem di essersi disinteressato del MO lasciando campo libero alla congrega Russia-Iran-Turchia?

Voglio dire: è l'inizio di una piena strategia di contenimento dell'Iran oppure semplicemente uno scalpo per Trump, da esibire alla pancia dei suoi elettori? 

 

 

 

in siria lIRAN è stato chiamato dal governo gli altri non sono stati invitati

trump non ha una politica estera linera 

questo gli serve per evitare l'impeachment o almeno distorgliere l'attenzione perchè negli le guerre servono anche la vincere le elezioni

gli interessi e problemi giudiziari/elettorali concidono con quelli di bibi

questo è un male per ilmondo

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Il 6/12/2019 Alle 17:39, SuperTalismano ha scritto:

Questo è il dato fondamentale secondo me. Finché il GOP sa di avere la base con se, appoggerà Trump (a meno di rivelazioni scabrose o troppo compromettenti, a quel punto meglio perdere la Casa Bianca che perdere la faccia). Quanto all'effetto Silvio, io credo invece che paradossalmente stiamo esportando il nostro caos (tipicamente italiano) un po in giro per il mondo. Non mi stupirebbe affatto una spaccatura sulla persona di Trump com'è avvenuto qui da noi su Berlusconi

Il punto però è che si ritorna sempre al campo DEM: Non c'è un personaggio carismatico (non parlo di un top come Obama, ma anche di qualcuno che abbia il carisma e la "faccia tosta" di Trump)

L'unica potrebbe essere la Ocasio, ma è troppo giovane, ha la leadership del partito contro, e soprattutto, con le idee che porta avanti (molte delle quali di estrema sinistra o quasi) rischierebbe comunque di spaccare l'elettorato. L'unico che può strappare la Casa Bianca a Donald credo sia Bloomberg, che potrebbe avere appeal anche nell'elettorato repubblicano (tra l'altro fino al 2007 era iscritto ai repubblicani). Lo stesso Biden è credo troppo inviso alle giovani leve del suo stesso partito, rappresenta, per dirla con la propaganda di Trump "the swamp", la palude, la vecchia politica etc (o almeno così la vedono gli elettori di Sanders, Warren e di tutta l'area libeal)

La media sondaggi per le primarie democratiche dà Biden attorno al 25%, Sanders e Warren attorno al 15%, Buttigieg poco sotto il 10% e Bloomberg al 5%, tutti gli altri staccati

Detto che la percentuale su base nazionale conta relativamente, perchè poi le primarie si fanno stato per stato e spesso con la regola del primo prende tutto, non è così improbabile che a vincere possa essere uno dei due socialisti, Sanders o Warren, (per la gioia di the Donald)

Biden e Bloomberg rischiano di danneggiarsi a vicenda: pescano dallo stesso bacino ed hanno le disponibilità per andare a giocarsi le primarie fino in fondo

Snceramente non so che finanziatori abbiano i due socialisti, considerate le loro proposte fiscali (soprattutto della Warren) dubito possano attrarre grandi imprese o gruppi industriali, per cui è più che probabile che a un certo punto uno dei due molli, facendo così convergere sull'altro i voti liberal

 

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43 minuti fa, SenzaDiTe ha scritto:

La media sondaggi per le primarie democratiche dà Biden attorno al 25%, Sanders e Warren attorno al 15%, Buttigieg poco sotto il 10% e Bloomberg al 5%, tutti gli altri staccati

Detto che la percentuale su base nazionale conta relativamente, perchè poi le primarie si fanno stato per stato e spesso con la regola del primo prende tutto, non è così improbabile che a vincere possa essere uno dei due socialisti, Sanders o Warren, (per la gioia di the Donald)

Biden e Bloomberg rischiano di danneggiarsi a vicenda: pescano dallo stesso bacino ed hanno le disponibilità per andare a giocarsi le primarie fino in fondo

Snceramente non so che finanziatori abbiano i due socialisti, considerate le loro proposte fiscali (soprattutto della Warren) dubito possano attrarre grandi imprese o gruppi industriali, per cui è più che probabile che a un certo punto uno dei due molli, facendo così convergere sull'altro i voti liberal

 

Visto l'endorsement di Barack Obama alla Warren, è probabile che Sanders (e i più giovani come la Ocasio Cortez) appoggino proprio lei. Tra l'altro potrebbero giocarsi due carte importanti con la Warren

 

1) Riaccendere il refrain della "prima donna alla Casa Bianca"

2) Puntare su un tema come l'ambiente che in tutto il mondo è diventato "Pop" (tema dominante, insieme alle disuguaglianze, della campagna della Warren)

 

Il tutto sempre che non spunti fuori qualche altra sorpresa prima di Marzo. Perché se si candida Michelle Obama allora cambia tutto il discorso (in peggio per i Dem, in meglio per Trump, IMHO)

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