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Rhyme

Occhio allo schermo!

Post in rilievo

12 minuti fa, Vegliardo ha scritto:

Più incasinato di Parnassus:d Almeno ne Le 12 scimmie alla fine si capisce tutto, c'è il casino derivato dai salti temporali ma più o meno i pezzi vanno al loro posto, mentre Parnassus per me resta un mistero, ma devo ammettere che mi ha lasciato abbastanza indifferente e non credo che lo rivedrei.

Il mio preferito di Gilliam è Brazil (anche qui, come in Don Quijote, c'è Pryce), una vera e propria favola ambientata in un futuro distopico dominato dalla burocrazia, chi non l'ha visto lo recuperi assolutamente.

 

Fra le nuove uscite segnalo BlacKkKlansman di Spike Lee: America post Martin Luther King, black power, Ku Klux Klan e soprattutto un poliziotto decisamente fuori dal "normale". Un film che a dispetto dell'argomento viaggia sull'onda dell'ironia, senza farsi mancare momenti forti ed emozionanti. Consigliato, e se interessa credo che abbia vinto un premio a Cannes.

Si incasinato per quanto mi riguarda perchè i film a tema spazio temporale e loop mi incasinano un pò (nonostante posso apprezzarli o addirittura adorali alcuni, vedi Predestination) 😄

Parnassus invece rientra tra quelli ".... un paio già visti ma che ricordo poco", come scritto sopra, perchè visto al tempo e non concentrato sul film, quindi rinvio il giudizio. Brazil mai visto.

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4 ore fa, Smartengine ha scritto:

Io ancora non l'ho visto e spero di vederlo presto.

L'esercito delle 12 scimmie invece credo sia il film più incasinato di Gilliam (almeno tra quelli che ho visto, saranno stati un 5/6, per i Monty Pyton ho visto solo "Il senso della vita"), seppur in tutti i suoi lavori è prepotente l'impronta visionaria (e in alcuni fiabesca), e questo credo sia il suo miglior pregio, a volte sembrano scritti o girati sotto effetto di qualche allucinogeno 😄 . Vorrei recuperare The Zero Theorem e un paio già visti ma che ricordo poco.

Il caos è proprio il fulcro del film.

Più che caos, il mischiare e saltare costantemente tra realtà e immaginazione, tra sogno e veglia...questa è una caratteristica che negli anni '80-'90 è assai frequente, a partire da Cronenberg.

Ma anche il circolo tra follia e non follia...con accenni anche a considerazioni più estese ("E se il motto dell'homo sapiens "andiamo a fare shopping" sia il grido del vero malato mentale?").

Caratteristiche che sono presenti, in modo differente, anche nel suo ultimo film.

L'ho trovato davvero un gran film, riesce a far rimanere lo spettatore in uno stato di continua angoscia, incertezza, risucchiato nel vortice disturbato dei dubbi e del terrore dei protagonisti. Con una regia che è di effetto assoluto...quasi ogni immagine trasmette proprio fisicamente angoscia per come è inquadrata, per come è costruita, ma soprattutto per le distorzioni degli ambienti e dei volti tramite le lenti usate nella fotografia.

Grande interpretazione soprattutto di Brad Pitt, il cui personaggio, per movenze ed espressioni, rimanda a tipici personaggi fantasy.

Ottimo film, per me.

Gli altri purtroppo non li ho visti ma sono sicuramente deciso a recuperarli, a partire da Brazil.

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8 ore fa, Alessandro29 ha scritto:

@Rhyme bellissimo La gabbianella e il gatto. Estremamente poetico e istruttivo. Il finale mi ha sempre lasciato grande tristezza. Tratto da Sepulveda se non erro.

Sì, da Sepulveda...che tra l'altro da la voce anche ad un personaggio.

Sarei curioso di riguardare anche l'altro film di Enzo d'Alò, La freccia azzurra...anche quello l'ho visto tantissimi anni fa.

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Oltre ad aver rivisto al cinema Raging bull restaurato e in lingua originale, che è sempre una di quelle visioni che fanno piacere ed aiutano mi sono dato un po' a Fassbinder.

 

Katzelmacher, Rainer W. Fassbinder, 1969.

 

Il film ruota attorno a un gruppo di giovani tedeschi degli anni '60. Giovani totalmente disillusi proseguono le proprie vite per inerzia, e là dove ci dovrebbe essere maggiore passione, le relazioni d'amore, c'è solo noia ed etichetta per ben figurare. Poco cambia tra un giovane e l'altro, tutti più o meno insoddisfatti, con le donne che sono o prede o valchirie ma in ogni caso attente più che altro al poco denaro che possono guadagnarsi. A rompere la routine è l'arrivo di uno straniero, un katzelmacher, cioè un fabbrica gattini uno sforna figli. Ecco che allora il gruppetto di giovinastri trova uno sfogo per la propria vita triste, fino a renderlo un capro espiatorio. Ovviamente su di lui cadranno calunnie e maldicenze di ogni genere con sviluppi prevedibili in quanto il film non vuole inventarsi niente, solo renderci spettatori della triste, e direi cattiva, quotidianità.

 

Il film, girato con due soldi, ha una piacevole attenzione per l'immagine: gli attori davanti a una camera sempre fissa appaiono come su di un palco, dove i pochi arredi, in un bianco abbacinante, oltre a ricordare Dreyer, danno la misura della povertà delle loro vite. L'atmosfera, quasi surreale o catatonica di alcune scene, per me è stata di ispirazione per i film di Roy Andersson.

Da vedere, anche per certe assonanze con la contemporaneità.

 

Die bitteren Tränen der Petra von Kant (Le lacrime amare di Petra von Kant), R.W. Fassbinder, 1972.

 

Petra è una stilista, più o meno affermata, che ormai non si aspetta più molto dalla vita. La incontriamo a letto in tarda mattinata, quando Marlene "insensibilmente" la sveglia aprendo le tende. Il letto è praticamente il mondo di Petra, si concentra tutta lì la sua vita, non la vedremo mai uscire di casa e neppure dalla sua camera da letto. Lì mangia, lì riceve gli ospiti, lì ha ciò che le serve per disegnare... Il film è girato in quest'unico ambiente, e la bravura di Fassbinder e  dei suoi scenografi/architetti è quella di aver costruito una camera da letto con pregevoli soluzioni scenografiche per dare ampiezza, o uno sfondo  o separare l'ambiente in due. Ed anche qui, come detto per il film precedente, è l'impostazione è quasi teatrale: non c'è un solo punto di vista e la camera non è sempre fissa, ma per come è concentrata in una sola camera l'intera struttura del film il rimando non può non venire.

Altra particolarità del film è che sono presenti solo attrici, degli uomini si parla, a volte chiamano, ma non appaiono mai. Sono al massimo dei deus ex machina per far succedere qualcosa nella monotonia della camera, ma mai si sentirà una voce maschile.

 

L'unico argomento del film è l'amore. Petra si innamora, è amata, è stata innamorata, ha avuto delusioni d'amore, dovrebbe amare di più... E così è anche per gli altri personaggi, unica eccezione Marlene. Marlene non è la governante di Petra, Marlene è la schiava di Petra perché di lei innamorata. Un amore assoluto e incondizionato dal sentimento del soggetto del suo amore. Ama fino a rinunciare a parlare, o forse è perché non parla che ama verrebbe da dirsi vedendo il film. Nella tragedia esistenziale e sentimentale che si consumerà nel film, di assoluta potenza, pare che l'unica via per amare sia appunto quella del totale annichilimento di sé; ma il finale sradica questa debole e scomoda asserzione facendo apparire l'amore come semplice nevrastenia umana che per questo può allora condurre all'annichilimento di se stessi.

 

Querelle de Brest, R.W. Fassbinder, 1982.

 

Querelle, marinaio, arriva nel malfamato porto di Brest. Lì ha sede un ancor più malfamato locale/bordello dove tra i tanti marinai spiccano il fratello di Querelle e la moglie, del proprietario del bordello, amante del fratello di Querelle. Si dice, e la diceria è vera, che se si vuole andare a letto con la moglie del proprietario si debba giocare a dadi con lui, se si vince si può accedere al servizio se si perde bisogna farsi "sottomettere" da Nono, il proprietario e marito. Tra gli altri personaggi di rilievo troviamo Franco Nero come capitano della nave con la passione per le note vocali, stile Dale Cooper, innamoratissimo di Querelle. Troviamo il poliziotto Mario, complice della malavita e grande frequentatore del locale di Nono. Troviamo abitanti di Brest innamorati della sorella dell'amico o forse proprio dell'amico...

 

Si fa fatica a scrivere del film senza aggirare blocchi perché tutto quello che ho scritto ambiguamente dovete pensarlo nell'accezione più cruda, e proprio per la sua "crudezza" in Italia uscì tagliato di un paio di minuti troppo espliciti. D'altronde il film è tratto da un romanzo di Jean Genet, un autore che prima di scrivere di certe cose le ha provate di persone. Ladro conclamato, forse il narratore più famoso dei rapporti omosessuali, non lascia mai certi dubbi nel lettore.

 

E il film di Fassbinder non addolcisce nessuno spigolo di Genet. In ogni caso il film, uscito pochi mesi dopo la morte del regista, ha un fascino incredibile. 

E' tutto girato in studio con una scenografia che mai vuole dare idea di realismo ma che assieme al giallo-arancio dello sfondo che, anche amplificato dalla fotografia, appare come un'eterna alba o forse un eterno tramonto fa rimanere Brest e il film nella dimensione del fantastico, della favola. Un po', per capirsi, come certe scenografie nelle pellicole di Fellini.

 

Per meglio leggere il film è allora utile la frase iniziale: l'idea di omicidio si lega al mare, che a sua volta rimanda all'amore. Sono infatti l'amore e la morte che si sovrappongono e si confondono nelle varie scene, con sottofondo il mare. La tensione fra le due, con le scene spesso sospese tra un'evoluzione a favore della morte o dell'amore, non è data dall'opposizione delle due ma dalla sinergia fra queste. Il risultato è un film difficilmente accostabile a qualsiasi altra opera, può  lasciare sia inorriditi che affascinati. Certamente non è per occhi impressionabili, ma chi può lo guardi.

 

4 luni, 3 săptămâni și 2 zile (4 mesi, 3 settimane, 2 giorni), Cristian Mungiu, 2007.

 

E' un film che per essere apprezzato, per avvertirne tutta la tensione, è meglio conoscerne poco o nulla. Quindi sarò brevissimo.

 

Il film è ambientato nel finire degli anni '80 in Romania, ha per protagonista una ragazza universitaria e la sua compagna di camera. Mungiu d'altronde è uno dei grandi narratori della società romena e della storia del suo paese attraverso la vita dei suoi abitanti, direi quasi dei suoi cittadini più banali. Assieme a lui e a registi romeni come Cristi Puiu o altri hanno dato vita negli ultimi quindici anni ad alcune delle pellicole più riuscite del cinema. E questo è forse il titolo più celebre, oltre che vincitore a Cannes della Palma d'oro.

 

Mungiu con la sua regia e i suoi movimenti di camera dà allo spettatore una visione immersiva, come se fossimo sempre accanto a una delle due ragazze. Riuscitissimo il racconto di un'epoca senza l'utilizzo di alcuna didascalia o spiegazione ma soltanto attraverso la vita quotidiana. Le due cose, riuscitissime entrambe, coniugate danno allo spettatore uno choc non indifferente nel momento in cui...

 

 

 

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4 minuti fa, perfX ha scritto:

Oltre ad aver rivisto al cinema Raging bull restaurato e in lingua originale, che è sempre una di quelle visioni che fanno piacere ed aiutano mi sono dato un po' a Fassbinder.

 

Katzelmacher, Rainer W. Fassbinder, 1969.

 

Il film ruota attorno a un gruppo di giovani tedeschi degli anni '60. Giovani totalmente disillusi proseguono le proprie vite per inerzia, e là dove ci dovrebbe essere maggiore passione, le relazioni d'amore, c'è solo noia ed etichetta per ben figurare. Poco cambia tra un giovane e l'altro, tutti più o meno insoddisfatti, con le donne che sono o prede o valchirie ma in ogni caso attente più che altro al poco denaro che possono guadagnarsi. A rompere la routine è l'arrivo di uno straniero, un katzelmacher, cioè un fabbrica gattini uno sforna figli. Ecco che allora il gruppetto di giovinastri trova uno sfogo per la propria vita triste, fino a renderlo un capro espiatorio. Ovviamente su di lui cadranno calunnie e maldicenze di ogni genere con sviluppi prevedibili in quanto il film non vuole inventarsi niente, solo renderci spettatori della triste, e direi cattiva, quotidianità.

 

Il film, girato con due soldi, ha una piacevole attenzione per l'immagine: gli attori davanti a una camera sempre fissa appaiono come su di un palco, dove i pochi arredi, in un bianco abbacinante, oltre a ricordare Dreyer, danno la misura della povertà delle loro vite. L'atmosfera, quasi surreale o catatonica di alcune scene, per me è stata di ispirazione per i film di Roy Andersson.

Da vedere, anche per certe assonanze con la contemporaneità.

 

Die bitteren Tränen der Petra von Kant (Le lacrime amare di Petra von Kant), R.W. Fassbinder, 1972.

 

Petra è una stilista, più o meno affermata, che ormai non si aspetta più molto dalla vita. La incontriamo a letto in tarda mattinata, quando Marlene "insensibilmente" la sveglia aprendo le tende. Il letto è praticamente il mondo di Petra, si concentra tutta lì la sua vita, non la vedremo mai uscire di casa e neppure dalla sua camera da letto. Lì mangia, lì riceve gli ospiti, lì ha ciò che le serve per disegnare... Il film è girato in quest'unico ambiente, e la bravura di Fassbinder e  dei suoi scenografi/architetti è quella di aver costruito una camera da letto con pregevoli soluzioni scenografiche per dare ampiezza, o uno sfondo  o separare l'ambiente in due. Ed anche qui, come detto per il film precedente, è l'impostazione è quasi teatrale: non c'è un solo punto di vista e la camera non è sempre fissa, ma per come è concentrata in una sola camera l'intera struttura del film il rimando non può non venire.

Altra particolarità del film è che sono presenti solo attrici, degli uomini si parla, a volte chiamano, ma non appaiono mai. Sono al massimo dei deus ex machina per far succedere qualcosa nella monotonia della camera, ma mai si sentirà una voce maschile.

 

L'unico argomento del film è l'amore. Petra si innamora, è amata, è stata innamorata, ha avuto delusioni d'amore, dovrebbe amare di più... E così è anche per gli altri personaggi, unica eccezione Marlene. Marlene non è la governante di Petra, Marlene è la schiava di Petra perché di lei innamorata. Un amore assoluto e incondizionato dal sentimento del soggetto del suo amore. Ama fino a rinunciare a parlare, o forse è perché non parla che ama verrebbe da dirsi vedendo il film. Nella tragedia esistenziale e sentimentale che si consumerà nel film, di assoluta potenza, pare che l'unica via per amare sia appunto quella del totale annichilimento di sé; ma il finale sradica questa debole e scomoda asserzione facendo apparire l'amore come semplice nevrastenia umana che per questo può allora condurre all'annichilimento di se stessi.

 

Querelle de Brest, R.W. Fassbinder, 1982.

 

Querelle, marinaio, arriva nel malfamato porto di Brest. Lì ha sede un ancor più malfamato locale/bordello dove tra i tanti marinai spiccano il fratello di Querelle e la moglie, del proprietario del bordello, amante del fratello di Querelle. Si dice, e la diceria è vera, che se si vuole andare a letto con la moglie del proprietario si debba giocare a dadi con lui, se si vince si può accedere al servizio se si perde bisogna farsi "sottomettere" da Nono, il proprietario e marito. Tra gli altri personaggi di rilievo troviamo Franco Nero come capitano della nave con la passione per le note vocali, stile Dale Cooper, innamoratissimo di Querelle. Troviamo il poliziotto Mario, complice della malavita e grande frequentatore del locale di Nono. Troviamo abitanti di Brest innamorati della sorella dell'amico o forse proprio dell'amico...

 

Si fa fatica a scrivere del film senza aggirare blocchi perché tutto quello che ho scritto ambiguamente dovete pensarlo nell'accezione più cruda, e proprio per la sua "crudezza" in Italia uscì tagliato di un paio di minuti troppo espliciti. D'altronde il film è tratto da un romanzo di Jean Genet, un autore che prima di scrivere di certe cose le ha provate di persone. Ladro conclamato, forse il narratore più famoso dei rapporti omosessuali, non lascia mai certi dubbi nel lettore.

 

E il film di Fassbinder non addolcisce nessuno spigolo di Genet. In ogni caso il film, uscito pochi mesi dopo la morte del regista, ha un fascino incredibile. 

E' tutto girato in studio con una scenografia che mai vuole dare idea di realismo ma che assieme al giallo-arancio dello sfondo che, anche amplificato dalla fotografia, appare come un'eterna alba o forse un eterno tramonto fa rimanere Brest e il film nella dimensione del fantastico, della favola. Un po', per capirsi, come certe scenografie nelle pellicole di Fellini.

 

Per meglio leggere il film è allora utile la frase iniziale: l'idea di omicidio si lega al mare, che a sua volta rimanda all'amore. Sono infatti l'amore e la morte che si sovrappongono e si confondono nelle varie scene, con sottofondo il mare. La tensione fra le due, con le scene spesso sospese tra un'evoluzione a favore della morte o dell'amore, non è data dall'opposizione delle due ma dalla sinergia fra queste. Il risultato è un film difficilmente accostabile a qualsiasi altra opera, può  lasciare sia inorriditi che affascinati. Certamente non è per occhi impressionabili, ma chi può lo guardi.

 

4 luni, 3 săptămâni și 2 zile (4 mesi, 3 settimane, 2 giorni), Cristian Mungiu, 2007.

 

E' un film che per essere apprezzato, per avvertirne tutta la tensione, è meglio conoscerne poco o nulla. Quindi sarò brevissimo.

 

Il film è ambientato nel finire degli anni '80 in Romania, ha per protagonista una ragazza universitaria e la sua compagna di camera. Mungiu d'altronde è uno dei grandi narratori della società romena e della storia del suo paese attraverso la vita dei suoi abitanti, direi quasi dei suoi cittadini più banali. Assieme a lui e a registi romeni come Cristi Puiu o altri hanno dato vita negli ultimi quindici anni ad alcune delle pellicole più riuscite del cinema. E questo è forse il titolo più celebre, oltre che vincitore a Cannes della Palma d'oro.

 

Mungiu con la sua regia e i suoi movimenti di camera dà allo spettatore una visione immersiva, come se fossimo sempre accanto a una delle due ragazze. Riuscitissimo il racconto di un'epoca senza l'utilizzo di alcuna didascalia o spiegazione ma soltanto attraverso la vita quotidiana. Le due cose, riuscitissime entrambe, coniugate danno allo spettatore uno choc non indifferente nel momento in cui...

 

 

 

Altro autore di cui non ho visto niente e di cui ho in programma l'approfondimento.

Questi, Effi Briest, Il matrimonio di Maria Braun...

Rileggerò questo post quando li vedrò.

Chissà quando sarà...

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25 minuti fa, Rhyme ha scritto:

Altro autore di cui non ho visto niente e di cui ho in programma l'approfondimento.

Questi, Effi Briest, Il matrimonio di Maria Braun...

Rileggerò questo post quando li vedrò.

Chissà quando sarà...

Come io leggerò il tuo parere su Gilliam quando andrò a vederlo al cinema.

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18 ore fa, Rhyme ha scritto:

Sì, da Sepulveda...che tra l'altro da la voce anche ad un personaggio.

Sarei curioso di riguardare anche l'altro film di Enzo d'Alò, La freccia azzurra...anche quello l'ho visto tantissimi anni fa.

Quello non lo vidi

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3 minuti fa, Alessandro29 ha scritto:

Quello non lo vidi

Lo davano spesso in tv durante le feste di Natale, soprattutto nel periodo di Befana, visto che è ambientato in quel periodo.

Non so onestamente se lo hanno trasmesso anche negli ultimi anni.

Musiche di Paolo Conte, Dario Fo che doppia uno dei protagonisti...

E' comunque più leggero rispetto a La gabbianella e il gatto, ma lo ricordo pochissimo.

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Il 29/9/2018 Alle 02:16, Rhyme ha scritto:

Dopo esattamente 20 anni ho rivisto La gabbianella e il gatto.

Ma quant'è bello questo film d'animazione?

E' il primo film di cui ho ricordo al cinema, il primo film di cui ho ricordo in generale e rivederlo è stato un piacere grandissimo.

In quest'opera ci sono un cuore, un'anima immense, con un'animazione molto bella e una colonna sonora fantastica...poesia pura.

 

Ho visto al cinema Gli Incredibili 2.

Il primo mi piacque molto e ho apprezzato anche il secondo capitolo.

Non raggiunge, però, il livello del primo...si adagia un po' troppo sulle caratteristiche del film precedente e cerca, in modo troppo forzato, di rendere protagonista la madre.

I personaggi di contorno non sono realizzati in modo ottimale e le motivazioni dell'antagonista non sono strutturate...anche se ad essere strutturato diversamente è proprio lo sviluppo, con l'antagonista che si rivela solo in fondo.

Film comunque piacevole e con supereroi più genuini e affascinanti rispetto a quelli dei film in live action.

Jack-Jack è il personaggio dell'anno, comunque.

 

L'uomo che uccise Don Quijote, di Terry Gilliam...senza spoiler.

Finalmente il suo progetto dei sogni si realizza.

Sono 25 anni che sta lavorando a questo film, che è un po' il suo sogno e che ha trovato continue ed infinite difficoltà. Durante le varie produzioni sono stati scelti e sostituiti tantissimi attori, Johnny Depp ed Ewan Mcgregor per il ruolo di Toby, ad esempio, arrivando infine ad Adam Driver. Alcuni attori scelti inizialmente sono morti prima di poter girare come John Hurt per la parte di Don Quijote... ma finalmente il film è uscito.

La sceneggiatura è stata cambiata centinaia di volte e alla fin fine, forse il film è quasi totalmente proprio su questa Odissea, una sorta di film autobiografico.

Parla di Toby, un regista talentuoso (Adam Driver) che sta girando uno spot in Spagna, con protagonista Don Quijote. Sul set è venerato, è coccolato, viene trattato come un genio, è una persona costantemente elegante e ordinata. Una sera trova, nel materiale venduto da uno *, una copia del dvd di un suo vecchio film...il suo primo film, che aveva girato 10 anni prima come tesi di laurea, che si intotola proprio "L'uomo che uccise Don Quijote". Rimane immensamente stupito e pensa a quei fantastici periodi, quando era giovane e il suo talento era più puro e sperimentale. Si ricorda delle varie persone che lo affiancarono in quel lavoro, abitanti spagnoli di un piccolo villaggio, tra cui un anziano calzolaio che aveva scelto come Don Quijote (Jonathan Pryce); una persona che inizialmente non riusciva ad entrare nella parte ma in seguito aveva trovato una grande forza recitativa. Il regista decide di tornare in quel paesino per ritrovare l'ispirazione e per ritrovare quelle persone. Scopre che dai tempi di quel film, le cose non sono andate benissimo per alcune di quelle persone. Scopre anche che l'anziano signore è convinto di essere Don Quijote e ha vissuto tutti questi anni con questa convinzione, lavorando in una sorta di freak show, rigorosamente con la sua armatura. Quando i due si incontrano, l'anziano scambia il regista per Sancho Panza e da qui in poi inizia una serie infinita di avventure tra il comico e il fantasioso.

Come da stile di Gilliam, la storia si perde tra realtà ed immaginazione, tra follia e lucidità, concludendo in un finale quasi felliniano.

E' un film che ha dei difetti, in particolare per me nella seconda parte perde un po' di equilibrio in alcuni punti.

Ma è, secondo me, un ottimo film, un film magico, un'avventura trascinante ed immersiva.

Se si vuole guardare questo film si deve tener presente le vicessitudini che Gilliam ha dovuto attraversare in questi 25 anni, con continui problemi, continui rimandi, il serio rischio anche che non uscisse...perché il film è anche questo, è soprattutto questo.

E' un film in cui c'è tutto Gilliam, c'è tutto questo arco di tempo, è anche una dedica a chi non c'è più come John Hurt che avrebbe dovuto interpretare Don Quijote. E' una visione di Gilliam sul cinema, sull'arte con i suoi lati anche negativi. Lui si rivede nel protagonista, nel regista che nelle scene iniziali appare svuotato rispetto alla sua versione giovanile, sembra aver perso la passione per il cinema e per il suo lavoro e che si trova ad affrontare quel viaggio picaresco, visto inizialmente come follia che si trasforma sempre più in realtà, fino a che non si trova a combattere contro quelli che sembrano i suoi demoni.

E' un film che va visto senza schemi mentali, senza ragionare troppo così come trasmette il personaggio di Don Quijote, liberarsi dalle strutture e godere scena dopo scena questo film che ci trascina al confine tra sogno e veglia, tra realtà ed immaginazione. E' un film che sorprende costantemente e dove c'è davvero tutto: c'è il cinema, c'è il teatro, c'è il circo, la proiezione, c'è il fantasy, c'è una riflessione sulla vita, sull'arte. Un film con molte trovate divertenti e visivamente affascinanti.

Visivamente è curato ed è ricchissimo e Adam Driver e Jonathan Pryce, soprattutto, sono fantastici.

Ci sono scene, comunque, che sono già cult, per quanto mi riguarda.

 

In precedenza ho visto anche "L'esercito delle 12 scimmie" sempre di Gilliam, per avvicinarmi a lui visto che lo conoscevo solo per i Monty Python.

Non mi dilungo oltre...ma è un film che mi è piaciuto davvero tanto.

L'esercito delle 12 scimmie imho filmone...

Pitt grande prova e la storia e' bellissima imho

Ebbe grande risalto quando usci ed un ottimo seguito, se un film del genere uscisse oggi, con i social network se ne parlerebbe per un decennio

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Il 29/9/2018 Alle 13:26, Vegliardo ha scritto:

Più incasinato di Parnassus:d Almeno ne Le 12 scimmie alla fine si capisce tutto, c'è il casino derivato dai salti temporali ma più o meno i pezzi vanno al loro posto, mentre Parnassus per me resta un mistero, ma devo ammettere che mi ha lasciato abbastanza indifferente e non credo che lo rivedrei.

Il mio preferito di Gilliam è Brazil (anche qui, come in Don Quijote, c'è Pryce), una vera e propria favola ambientata in un futuro distopico dominato dalla burocrazia, chi non l'ha visto lo recuperi assolutamente.

 

Fra le nuove uscite segnalo BlacKkKlansman di Spike Lee: America post Martin Luther King, black power, Ku Klux Klan e soprattutto un poliziotto decisamente fuori dal "normale". Un film che a dispetto dell'argomento viaggia sull'onda dell'ironia, senza farsi mancare momenti forti ed emozionanti. Consigliato, e se interessa credo che abbia vinto un premio a Cannes.

Mi speigo' all'epoca Quijotte, che Parnassus (che vidi al cinema) fu un film incompiuto...con la morte del protagonista molte scene sono state cambiate e riviste, alcune tagliate ed alla fine usci' fuori un pastrocchio non molto comprensibile

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Comunque, accettiamo che non scriva(seppur con dispiacere), che sia impegnato e quant'altro, ma @Quijote non può esimersi dal commentare qui L'uomo che uccise Don Chisciotte, ce lo  deve. Chissà quando leggerà, io intanto lancio l'amo.

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Marga, ti ho pensato

Mi ricordo della tua pasione per i Sigur Ross, ne parlammo nel film di Matt Damon dove la famiglia comprava lo zoo

 

a * trota, non sapevo che una delle mie colonno sonore preferite fosse per gran parte fatta da loro

Vanilla Sky ha un paio di pezzi per cui impazzisco (svefn-g-englar per me e' un opera d'arte assoluta, pensa che credevo che fosse una lingua inventata quella utilizzata ahah )

 

Sono dei grandi questi, fanno una musica unica...metaforizzando a livello cinema, sarebbero a livello di Quentin Tarantino ma 50 anni avanti...fuori come dei meloni, ma che sonorita', che sentimenti che scaturiscono questi suoni....fantastici

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37 minuti fa, POLARMAN ha scritto:

Marga, ti ho pensato

Mi ricordo della tua pasione per i Sigur Ross, ne parlammo nel film di Matt Damon dove la famiglia comprava lo zoo

 

a * trota, non sapevo che una delle mie colonno sonore preferite fosse per gran parte fatta da loro

Vanilla Sky ha un paio di pezzi per cui impazzisco (svefn-g-englar per me e' un opera d'arte assoluta, pensa che credevo che fosse una lingua inventata quella utilizzata ahah )

 

Sono dei grandi questi, fanno una musica unica...metaforizzando a livello cinema, sarebbero a livello di Quentin Tarantino ma 50 anni avanti...fuori come dei meloni, ma che sonorita', che sentimenti che scaturiscono questi suoni....fantastici

Loro cantano in islandese e in una lingua inventata, il vonlenska. 😍

Bellissimo provare a cantare con Jonsi, il cantante. Una esperienza unica!

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2 ore fa, POLARMAN ha scritto:

Mi speigo' all'epoca Quijotte, che Parnassus (che vidi al cinema) fu un film incompiuto...con la morte del protagonista molte scene sono state cambiate e riviste, alcune tagliate ed alla fine usci' fuori un pastrocchio non molto comprensibile

Sì, sapevo la storia, infatti non lo considero nemmeno un passo falso, diciamo che gli è andata male e basta. Oh, tra questo e tutta la trafila per arrivare a Don Quijote se ne deduce ce Gilliam è un regista sfigato .ghgh

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58 minuti fa, L.O.V.E. ha scritto:

Loro cantano in islandese e in una lingua inventata, il vonlenska. 😍

Bellissimo provare a cantare con Jonsi, il cantante. Una esperienza unica!

ah ecco, allora non sono scemo ahah

e' una lingua inventata, questi stan piu' fuori di me

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Ho visto BlacKkKlansman di Spike Lee, film che parla di un poliziotto di colore che negli anni '70 si infiltra nel Ku Klux Klan con l'aiuto di un collega ebreo.

Buon film, diretto bene e che si muove sapientemente, da tradizione autoriale, tra i generi...regalando momenti divertenti, momenti riflessivi, momenti di suspance e anche momenti drammatici.

Non mi ha, comunque, entusiasmato più di tanto perché si muove all'interno di schemi e intenti un po' troppo classici e statici, con l'intento didascalico molto evidente e lineare...e con diversi personaggi realizzati in maniera eccessivamente macchiettistica, cosa sbagliata sia dal punto di vista cinematografico che ideologico.

Ma comunque un buon film.

Adam Driver è uno degli attori del momento, soprattutto del cinema autoriale...in questo periodo è al cinema con i film di Terry Gilliam e Spike Lee ma di recente ha lavorato anche con Scorsese, Jarmusch, Soderbergh, prima ancora con i Coen e tra i suoi prossimi lavori c'è anche il nuovo film di Leos Carax. E' un attore che mi piace molto e che sta crescendo sempre di più, risultando adatto a molti ruoli diversi in cui lascia comunque la sua impronta precisa.

Così come per L'uomo che uccise Don Quijote con Gilliam, ho anticipato la visione di BlacKkKlansman con un altro film di Spike Lee, "La 25° ora".

Anche in questo caso non mi dilungo ma è un film per me bellissimo.

 

Michelangelo - Infinito.

Su Sky sono presenti tutti i documentari d'arte da loro prodotti, sugli Uffizi, Raffaello, Musei Vaticani ecc., in occasione dell'uscita al cinema di "Michelangelo - Infinito".

Me ne sono davvero innamorato. Chiaramente sono molto enfatizzati, ma mi hanno appassionato molto...soprattutto quello su Raffaello che ho trovato bellissimo.

"Michelangelo - Infinito" continua su questa scia ed ho apprezzato molto anche questo, anche se però la parte di narrazione fantastica in questo caso l'ho trovata eccessiva e fuori misura.

 

Opera senza autore, di Donnersmarck.

Film che mostra uno spaccato di vita di un bambino che poi diventa un pittore, partendo dalla Germania del 1937 arrivando a quella del 1961, mi sembra di ricordare...includendo quindi, ovviamente, il periodo nazista e il dopo guerra, affrontando anche (o forse soprattutto) il tema dell'arte e la diversa visione che si poteva avere su di essa.

E' un film che mette tantissimi argomenti sul fuoco e li dosa, per me, male. Tanti temi sono accennati per poi essere abbandonati in modo brusco oppure accantonati. La stessa storia d'amore centrale è altalenante, l'episodio che si vede ad inizio del film sembra centrale ma poi cade nel dimenticatoio e così via. In generale si fa fatica ad individuare la "strada" di questo film. Ha una sintassi più televisiva e sarebbe stato adatto probabilmente più per una serie tv...ma è un problema soprattutto di sceneggiatura; mi viene in mente "Duello a Berlino", di cui parlai qualche settimana fa che è un altro film che tratta un lungo tratto di tempo e lo ricorda pure per alcuni tratti della storia d'amore, eppure è basato su una sceneggiatura spettacolare che gestisce il tutto in maniera perfetta. Cosa che non si può dire di questo film, ne esce un intreccio ingarbugliato e anche sbagliato, dallo sviluppo molto trattenuto, con anche un montaggio non proprio impeccabile, con diverse scene inserite in modo posticcio e quasi casuale.

L'elemento più interessante è probabilmente la parte finale, incentrata sul lavoro artistico.

Non è comunque un pessino film, si può guardare e, nonostante la durata di 3 ore e 10 minuti, non appesantisce la visione.

 

In questi giorni ho virato un po' anche sull'animazione. Dopo una parentesi nostalgica con Pinocchio, ho visto Gatta Cenerentola di Alessandro Rak.

Non riuscii a vederlo quando uscì lo scorso anno al cinema e l'ho recuperato su Sky.

E' la rivisitazione dell'omonima fiaba, ambientato a Napoli in un futuro vicino.

Non è male, trovo che sia un'opera coraggiosa e con alcuni punti davvero interessanti. Ha un tono molto dark, quasi noir, con quella serie di ologrammi che rimanda a Blade Runner o probabilmente alla tradizione giapponese.

Inizialmente non mi è piaciuto molto il disegno dei personaggi, ma ho apprezzato molto sin da subito la realizzazione e l'animazione degli ambienti e delle scenografie.

Non, di certo, impeccabile ma interessante...una luce diversa nel panorama cinematografico italiano.

Il cinema d'animazione italiano è molto poco conosciuto o anche del tutto ignorato, ma è presente, seppur in piccolo e rappresentato dai pionieri Pagot e Domeneghini negli anni '40, da Enzo D'Alò soprattutto negli anni '90 e da Alessandro Rak negli anni recenti.

Ma il bello del cinema è che non si finisce mai di scoprire nuove storie e nuovi personaggi e mi sono imbattuto in Bruno Bozzetto che va ad inserirsi in questo tema e che si prende anche la vetta.

E' famoso per la serie animata del Signor Rossi (di cui ho un vaghissimo ricordo da piccolo, ma non saprei dire), ma in generale è autore di molti cortometraggi e anche di lungometraggi.

Alcuni suoi lavori sono andati a Cannes, ha vinto l'Orso d'Oro a Berlino per i cortometraggi, è stato candidato all'Oscar e ha partecipato ad un progetto Hanna-Barbera.

Il suo lavoro ha colpito anche gli animatori americani, la figlia di Walt Disney l'ha definito "una leggenda, come mio padre" e ha influenzato anche l'animatore John Lasseter, direttore della Pixar e poi anche della Walt Disney. Di recente è stato pure invitato negli studi Pixar e Disney in America per tenere degli incontri con gli animatori e mostrare alcuni suoi lavori.

Ho visto alcuni dei suoi cortometraggi, quelli premiati, e ho visto West and Soda del 1965, che è stato il suo primo lungometraggio...a distanza di 16 anni dai primi 2 lungometraggi d'animazione italiani.

Film parodia western che non ha una grande animazione ma che ha moltissime trovate ironiche, dinamiche e rocambolesche; il western rivisto in chiave ironica e parodistica. Va ad inserirsi nel periodo degli spaghetti-western ma la lavorazione è iniziata nel 1962, prima quindi dell'uscita di "Per un pugno di dollari" o degli altri film di quel filone...quasi un precursore.

I film non si sono incrociati o influenzati perché la loro lavorazione si sviluppò in contemporanea, ma è curioso vedere come alcuni elementi siano anche simili...persino dettagli come la risata di un personaggio o un'inquadratura.

E' un tipo d'animazione tipico soprattutto di cortometraggi e scenette animate, perché loro facevano quello, anche nel Carosello, ad esempio...non erano ovviamente disegnatori d'animazione sullo stile Disney o simile. Perciò per loro questo film è stato una grande sfida e hanno dovuto imparare strada facendo, anche "semplici" elementi come i dialoghi, o come i campi/controcampi a cui non erano abituati.

E' un'opera notevole che vista oggi è meno "travolgente" ma perché molti elementi sono collegati ed ampliati in film o filoni successivi...i successivi spaghetti-western, o addirittura il genere "demenziale" anni '70-'80, Mezzogiorno e mezzo di fuoco, arrivando persino a "Mucche alla riscossa".

Sto aspettando che mi arrivi quello che è considerato l'altro suo capolavoro e ancor maggiore, "Allegro non troppo" del 1976, dichiaratamente ispirato a "Fantasia" della Disney.

 

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Reality, M. Garrone, 2012.

 

Non faccio la sinossi perché molti l'hanno già visto e non c'è nulla di eclatante da raccontare.

 

Il film gioca la carta del narcisismo della nostra società e di come certi sogni o desideri possano portare alla malattia mentale.

Il film si guarda bene, l'attore protagonista dà un'ottima prova. Per il resto nulla di eclatante. Per me è un film più riuscito a livello di scrittura che a livello cinematografico, per dire poteva essere un buon romanzo.

 

Mi spiace soltanto che Garrone, come anche in Dogman, assieme a molti colleghi utilizzi la cgi anche dove non c'è un particolare bisogno, dando anzi un'aria un po' più grossolana alla pellicola. 

 

Poi Fassbinder capitolo 2.

 

Angst essen Seele auf (La paura mangia l'anima), R.W. Fassbinder, 1974.

 

Il film parla dell'incontro di due solitudine, di due emarginati nella società tedesca degli anni '70. Ma che potrebbero esserlo anche oggi, e in altri posti. Si tratta di una donna ormai coi capelli bianchi e  figli già cresciuti, e di un immigrato marocchino di mezza età. I due si incontrano fatalmente in un bar, ognuno capisce il disagio altrui e cerca di lenirlo. Da questa amicizia nascerà qualcosa di più profondo. Anche se, come sempre ci racconta Fassbinder, i rapporti umani sono fragili e volubili.

 

Il film prosegue il discorso iniziato da Fassbinder in Katzelmacher, molte dinamiche di discrimazione sono identiche nei due film. Ma a parte la capacità di esporre il tema cinematograficamente il film non l'ho trovato particolarmente significativo. Certo è un capitolo importante del nuovo cinema tedesco, ma in alcune parti confesso di essermi annoiato.

Film girato, come consuetudine per il regista, in poco tempo e senza troppe spese.

 

Warnung vor einer heiligen Nutte (Attenzione alla * santa), R.W. Fassbinder, 1971.

 

In un albergo vicino al mare è radunata troupe e attori in attesa dell'arrivo del regista per iniziare le riprese del film. C'è poco da fare, e l'attenzione sembra riposta soltanto al flirtare o amoreggiare vicendevolmente senza troppo badare tra maschi e femmine. D'altronde siamo in un film di Fassbinder.

E quasi tutta la prima parte del film è ambientata nella hall dell'albergo, dotata di un frequentatissimo bar, senza che accada nulla se non l'arrivo dell'iracondo e capriccioso regista. Ed è straordinaria la capacità di raccontare questa noia, questa attesa, ma non attesa in qualcosa ma un'attesa del tipo quando suona la campanella all'ultima ora. E per farlo Fassbinder allestisce scene lunghissime con altrettanto ampi piani sequenza. Mentre la seconda parte, quando finalmente iniziano le riprese nonostante le innumerevoli problematiche, il ritmo si rovescia: le scene sono brevi, gli intervalli di tempo sconnessi e profondi, mentre prima praticamente vivevamo il tempo nella hall quasi minuto per minuto. Le scene sono come detto frenetiche, il regista è sempre più annoiato dalla sua opera ed adirato nei confronti dei collaboratori. 

 

Per realizzare questo pregevolissimo film, oltre al talento di Fassbinder, bisogna sottolineare quello di Ballhaus alla cinematografia. Ballhaus, che anni dopo sarà tra i più fidati collaboratori di Scorsese, qui mostra ampiamente le sue doti e peculiarità. Per la prima parte del film, quella lenta, muove la cinepresa sinuosamente, ci fa accarezzare muri e tendaggi che inquadra per come indugia e muove docilmente la camera in lunghissimi girotondi su stessa. Girotondi che abbracciano l'intero ambiente facendoci prendere parte a quegli spazi; e quei movimenti continui e fluidi sono facilmente rintraccibali anni dopo nei film del regista newyorchese.

 

Un film strabiliante per scrittura e per capacità di gestire cinepresa e montaggio.

 

Die Sehnsucht der Veronika Voss (Veronika Voss), R.W. Fassbinder, 1972.

 

Spoiler.

 

La Germania negli anni '50, lui è un giornalista sportivo con ormai poco da chiedere alla carriera e in generale. Lei invece è Veronika Voss, una stella del cinema pre-bellico. I due si incontrano durante un temporale, lei inviterà a cena lui che l'ha aiutata senza riconoscerla. Alla cena lei sembra piuttosto disponibile, ma ad un tratto cambia idea e diviene scontrosa. Dev'essere una caratteristica dettata dal nome. A parte le sciocchezze, si scopre che la grande stella del cinema ormai non fa più film, è malata, e per lenire il suo dolore vive nello studio della sua psichiatra che la tiene al guinzaglio con la morfina.

 

Il film è meraviglioso, e allo stesso tempo molto coraggioso. Tratta della malattia mentale, della dipendenza da farmaci, dei metodi nazisti con un tono decisamente raro per quell'epoca. Ma è meraviglioso per come è girato: oltre all'attenzione sul dettaglio e il primo piano, che in Fassbinder non è comune, la prima caratteristica è nel bianconero. Un bianconero che, spesso rievocato nei dialoghi come chiaroscuro, riflette l'alternarsi netto e improvviso dell'umore di Veronika. Un bianconero che vuole essere omaggio non tanto agli anni '50 ma al cinema delle vedette, di cui Veronika è il residuo malato. Ed allora, oltre alla narrazione lineare, il film è frammentato da scene che non sappiamo distinguere se sogno o ricordo dei bei tempi per Veronika, e lì Fassbinder illumina la scena facendo splendere le candele e le fonti di luce come in un musical della fabbrica dei sogni. Hollywood viene chiamata così nel film, ma nel film la fabbrica dei sogni, o meglio placebi o addirittura incubi, è lo studio della psichiatra che con la sua morfina tiene sospese le vite, altrimenti invivibili, dei suoi clienti.

 

La regia del film è frizzante, con un ritmo da commedia e un plot da noir. Spesso Fassbinder utilizza dissolvenze fantasiose, proprio per giocare ancor di più con quel cinema classico rievocato nel film. E, devo dire, che se non conoscessi nulla di questo film, e mi dicessero: abbiamo trovato questa pellicola, non sappiamo di chi sia etc., mi potresti dire l'autore? Io risponderei Truffaut. Certo, poi capisci dove sta la firma di Fassbinder, ma per la freschezza e la cinefilia con cui è girato viene da pensare all'autore parigino.

 

Il finale, già di per sé doloroso e bellissimo, se guardato pensando alla fine del regista dieci anni dopo diviene profetico e ancor più doloroso.

 

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Volevo segnalare che sabato sera prossima Alberto Angela Va in onda su Raiuno con auschhwiz . Se fa solo un milione ha trionfato lo stesso. Questo ha testicoli da toro 

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Negli ultimi giorni ho avuto modo di vedere in una rassegna 3 film usciti quest'anno a Venezia, in lingua originale.

Ho avuto fortuna perché erano tra i film che ero più curioso di vedere.

 

Tramonto (Napszállta) di László Nemes, 2018.

Dopo il successo de "Il figlio di Saul", Nemes è tornato con un altro film storico. In questo caso siamo a Budapest, nell'Austria-Ungheria degli anni '10, prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale; prima del tramonto, appunto, della civiltà. La protagonista, Irisz, dopo tanti anni torna nella capitale con la speranza di essere assunta come modista nell'importante negozio di cappelli che un tempo era appartenuto ai suoi genitori e che ancora porta il nome di famiglia. Da qui ne seguono diverse vicessitudini, la ragazza è determinata ad inserirsi nel contesto in cui era nata e nel quale i genitori avevano vissuto, ma è anche decisa a far luce su alcuni misteri che circondano la sua famiglia. Il film ha lo stesso stile de "Il figlio di Saul", quindi macchina a mano che segue costantemente la protagonista, con continui movimenti e piani sequenza, giocando molto sul fuoco e fuori fuoco, sul campo e contro campo; differisce invece nel formato e nell'inserimento della musica. Anche in questo film il sonoro occupa un ruolo contrale (anche se minore rispetto a Saul) con suoni e voci che arrivano da uno spazio indecifrato, invisibile e che risuonano a diversi volumi come all'interno di una grotta; "Tramonto", a differenza de "Il figlio di Saul", l'ho visto al cinema e l'effetto è veramente diverso. Il film è opprimente, straniante, sferzante ma soprattutto è un film che nega. Nega inquadrature complete e ampie, ci nega la vista chiara ma al tempo stesso ci nega anche una percezione narrativa definita. Gli eventi ci appaiono oscuri, caotici e persino incomprensibili. Siamo costantemente sballottati con Irisz che non sta ferma un secondo, vagando per i vicoli oscuri di Budapest e tornando poi sempre nel negozio di cappelli, uno dei pochi luoghi apparentemente sicuri e civili in una società in tumulto. Si odono decine di domande a cui nessuno risponde, si cercano risposte a domande che nessuno ha posto, più il film va avanti e più veniamo immersi in un ambiente di mistero, di oscurità, di caos. Sembra quasi di essere in un incubo, tutto è sfuocato, nulla è netto e chiaro ma, almeno io, si viene investiti da una costante angoscia, una sensazione di continua apnea, di minaccia. Per certi versi mi ha ricordato Mother! di Aronofsky, per la protagonista seguita come un'ombra, per il suo continuo vagare e per il trovarsi in situazioni sempre più oscure e incomprensibili. A parte della critica "Tramonto" non è piaciuto e molti lo hanno definito noiosissimo, a me invece è piaciuto davvero tantissimo. L'ho preferito a "Il figlio di Saul", per esempio. Credo che Nemes in questo film abbia perfezionato maggiormente la sua regia e abbia fatto un film più strutturato e complesso. "Il figlio di Saul" è un ottimo film, ma non ero riuscito ad entrare in simbiosi ed empatia con il protagonista; il suo personaggio, le sue azioni e la linearità degli eventi non mi avevano conquistato al 100%. In questo caso la sensazione che mi ha comunicato "Tramonto", nel suo incedere crescente, è incredibile; è uno di quei film che dopo la fine mi ha lasciato un macigno e che mi ha spinto a rifletterci a lungo. Un film che per me è pura magia, con una fotografia splendida. La sensazione è che la protagonista, Irisz, rappresenti l'Europa in quel momento, ma anche noi stessi, anche l'Europa attuale. Un'osservatrice che si muove ingenua, turbata, confusa, trattenuta e sballottata dagli eventi; divisa tra la luminosità, il rigore, il lusso ma anche la depravazione celata dell'Impero al massimo dello svilippo e lo strato di oscurità e violenza crescente, pronta a far esplodere tutte le tensioni con impeti distruttivi. Cerca di capire, cerca di conoscere le motivazioni di questi eventi crescenti ma non ottiene risposte, perchè non ci sono motivazioni ("Cos'hai visto? Niente, perchè non c'è niente da vedere"). Assiste così alla crescita del male, un male risvegliato e che è insito nell'Uomo. Una follia insensata, assurda, senza spiegazione: è la guerra del XX secolo. Bellissimo il finale. Per me è veramente un film bellissimo, con una forza incredibile.

 

Non-Fiction (Doubles vies) di Olivier Assayas, 2018.

Il suo film precedente, Personal Shopper, mi era piaciuto molto e secondo me con questo film si è confermato.

Nello stile è differente, è una commedia borghese parlata, quasi alleniana in questo senso. Protagoniste sono soprattutto due coppie, un editore sposato con un'attrice e uno scrittore sposato con una collaboratrice di un politico, più altre persone che ruotano attorno.

E' un film molto parlato, visto che i personaggi si trovano quasi sempre immersi in discussioni sulla tecnologia, su internet, sul futuro dell'editoria, sui libri, sul digitale, quindi è soprattutto la scrittura ad essere il tema principale, discusso in ogni suo aspetto, con a margine anche alcune discussioni sulla politica. Quindi comunque sono temi molto attuali e al centro della nostra vita.

Assayas però si limita a declinare l'aspetto sotto tutti i punti di vista che ci possono essere, non da giudizi e non indica qual'è la verità, perché una verità non c'è, bensì ci sono visioni differenti. Il film dopo un po' rischia di cadere nell'eccessiva retorica e nella pedanteria, ma molto intelligentemente Assayas cambia registro e sposta l'attenzione sulla vita di queste coppie ed in entrambi i casi ci sono tresche e tradimenti, quasi sempre intuiti dai relativi partner.

Questo va un po' a smascherare il teatrino della borghesia intellettuale, va a rendere quasi sciocchi tutti i discorsi sul futuro dell'editoria e dei libri, visto che non sanno tenere saldo il loro di futuro. E infatti l'ulteriore svolta c'è proprio con uno dei personaggi che decide di "metter mano" alla propria relazione abolendo ogni tipo di comportamento scorretto...e questo porta anche a benefici privati.

Assayas si dimostra quindi duro con una certa fetta della società ma anche con i personaggi legati ad ambienti culturali o artistici, infatti l'unica che non ha segreti e quella che parla in modo più diretto è la collaboratrice del politico.

E' una grandissima sceneggiatura, veramente scritta in modo fine ed egregio, con una sottile ironia costante e con uno schema strutturale che ho trovato bellissimo. Assayas si conferma per me tra i maggiori autori contemporanei.

 

Il messicano Nuestro tiempo di Carlos Reygadas, 2018.

Questo film è stato molto apprezzato a Venezia ma a me non è piaciuto particolarmente.

Parla di una famiglia che vive nella campagna messicana e lavora in un ranch, allevando tori.

E' una coppia aperta e ad un certo punto la moglie si innamora di un americano, a quel punto lei e il marito si troveranno a dover gestire il nuovo momento.

E' un film che mi ha detto poco, onestamente, ho sentito molto la durata (3 ore) e i temi non li ho trovati espressi in modo approfondito o coinvolgente.

Comunque, in quello che vuole essere e per come è pensato, è un buon film, dal senso molto artigianale narrativamente e visivamente.

Ha delle scene di grandissima regia, fuori dal comune. Specialmente la scena iniziale dove ci sono dei bambini e dei ragazzi che stanno facendo il bagno in uno stagno; quella per me è una scena che è fantastica. Già l'ambientazione con questa sorta di terreno fangoso intorno allo stagno anch'esso reso marrone dal fango, ma soprattutto il modo di inquadrare i ragazzi trovo che abbia una sensibilità che raramente si vede. Ma anche altre scene, soprattutto inquadrature degli ampi spazi del ranch o la scena finale con i tori, denotano una grande capacità registica di Reygadas.

Ma dai giudizi che avevo letto mi aspettavo di più ed ho preferito di gran lunga i film di Nemes e Assayas.

 

Comunque ogni anno ci sono film non in lingua inglese di ottimo valore, ma quest'anno in particolare, per adesso, il confronto tra film americani e film non americani trovo che sia impietoso. Al di là di qualche buon film sparso, per me le uscite americane non reggono il confronto dei vari Dogman, Un affare di famiglia, Non-Fiction e Tramonto. E anche le prossime settimane sembra che non andranno a capovolgere le cose...non vedo tanti grandi film americani all'orizzonte in questa stagione, mentre sono in uscita i vari Roma di Cuaron, Cold War di Pawlikowski, L'albero dei frutti selvatici di Ceylan più parecchi altri che sembrano interessanti.

Questa è un po' anche una sfortuna per noi, perché sarà dura per Dogman rientrare nella cinquina degli Oscar.

 

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Il 1/10/2018 Alle 18:59, Alessandro29 ha scritto:

Comunque, accettiamo che non scriva(seppur con dispiacere), che sia impegnato e quant'altro, ma @Quijote non può esimersi dal commentare qui L'uomo che uccise Don Chisciotte, ce lo  deve. Chissà quando leggerà, io intanto lancio l'amo.

Non c'è riuscito. 

Sono agonizzante ma respiro ancora.

È solo che i mulini a vento non mi divertono più...

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11 ore fa, Quijote ha scritto:

Non c'è riuscito. 

Sono agonizzante ma respiro ancora.

È solo che i mulini a vento non mi divertono più...

Sei il Don Chisciotte della seconda parte del libro. Ti capisco. 

"Fu per lui la gran ventura morir savio e viver matto." 

  • Grazie 1

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12 ore fa, Quijote ha scritto:

Non c'è riuscito. 

Sono agonizzante ma respiro ancora.

È solo che i mulini a vento non mi divertono più...

Uh, qual onore.salve

Così è pure peggio, ti ha ucciso l'anima...non va bene

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1 ora fa, Alessandro29 ha scritto:

Uh, qual onore.salve

Così è pure peggio, ti ha ucciso l'anima...non va bene

Sono curioso di vederlo. Dopo tanta attesa.

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